«“Un giorno la scienza spiegherà tutto”. qwQuest’affermazione apodittica è in effetti un atto di fede irrazionale che pretende di sostituire la fede nei miracoli». Lo osserva acutamente padre Maurizio Botta – brillante sacerdote oratoriano della Parrocchia di Santa Maria in Vallicella a Roma – nel primo dei sei ‘Passi al Mistero’ raccolti nel recente volume Le domande piccole dei grandi (Edizioni Studio Domenicano 2022, pp. 208). Nel libro trovano risposta alcune «domande che partono da pregiudizi e luoghi comuni tanto diffusi nella mentalità comune, comodi e facili da abbracciare per sfuggire alle domande vere, ma dietro i quali spesso si cela la nostra pigrizia, superbia e incredulità o la presunzione di essere ‘grandi’», come rileva nella prefazione padre Roberto Maria Viglino.
«Perché dovrei interessarmi a qualche cosa che sicuramente prima o poi verrà spiegato da qualcuno? Che sicuramente poi la scienza arriverà a spiegare? Questo è il dogma dello scientismo. È irrazionale perché parte dal presupposto che la natura sia il tutto e che quindi solo all’interno della natura si debba cercare la spiegazione», argomenta padre Botta. E in effetti la natura da sola non riesce a spiegare se stessa, per cui «per spiegare la natura occorre necessariamente andare al di là della natura». Ciò vale anche per il nostro essere limitato; vorremmo spostarci da un posto all’altro, aver la larghezza che vogliamo, non morire, ma è evidente che non possiamo. Dunque le leggi cui è soggetta natura implicano un legislatore esterno a essa. In proposito Einstein scrive: «“Voglio capire come Dio ha creato il mondo. Non mi interessa questo o quel fenomeno in particolare. Voglio penetrare a fondo il suo pensiero. Il resto sono solo minuzie. L’esperienza più bella che possiamo provare è il senso del mistero”».
Un miracolo manifesta allora che «chi dall’esterno ha fissato una regola interna alla realtà, ha anche il potere, eccezionalmente, di andare oltre questa legge interna». Pertanto, paradossalmente, «il vero libero pensatore è il credente, non il credulone. L’ideologo non può arrendersi alla realtà, mentre io, da credente, posso arrendermi tranquillamente al fatto che alcuni miracoli non siano veri miracoli. Che me frega! Se mi dimostri che un miracolo non è un vero miracolo, non c’è nessun problema. Io sono aperto a questa possibilità, mentre l’ideologo deve dimostrare necessariamente che tutti i miracoli sono falsi, oppure, quando non ce la fa, deve rifugiarsi in quella frase irrazionale con cui si dice che un giorno qualcosa che è dentro la natura spiegherà quello che è fuori dalla natura. Il che è irragionevole». Insomma, attraverso i miracoli, il Creatore «ci vuole dimostrare amore. È uno dei modi di dimostrare amore. A Dio interessa anche il corpo. Non è un assoluto, ma è importante. Mi interessa anche il tuo corpo. Un interesse di Dio per l’uomo tutto intero».
«Un fan entusiasta della mia vocazione», così si autodefinisce padre Maurizio Botta introducendo il passo relativo al valore del sacerdozio. Egli sostiene che «la vocazione è comprensibile se dietro c’è una cosa incomprensibile: una bruciante passione per Gesù, per le sue parole, per il Vangelo, se uno è affamato della parola del suo Vangelo, se uno è arso dalla passione della preghiera». D’altra parte, «i nostri contemporanei, quando incontrano noi, vogliono vedere quello che non vedono da nessun’altra parte, cioè la gioia e la speranza che nascono dal fatto di stare con il Signore risorto». ‘Stare con il Signore’ equivale a porre la liturgia al primo posto. Su questo il poverello di Assisi San Francesco puntualizza che calici e paramenti sacri debbano essere preziosi. Di qui «l’amore verso gli altri viene dopo il rapporto personale con Cristo», perché «per amare da Dio, ci vuole la grazia da Dio».
«Gesù vede il peccato peggio di una paralisi fisica». Bisogna partire da tale considerazione del Maestro per comprendere invece il senso della confessione. Fermo restando che «chi si autogiustifica diventa norma a se stesso» e non riconosce dunque il proprio peccato, dinanzi all’obiezione consueta rappresentata dalla pretesa di confessarsi direttamente con Dio, il sacerdote oratoriano replica che in questo modo «non hai mai la certezza dentro di te di essere perdonato. Invece, quando segui il metodo che ha scelto Gesù, sei dentro l’oggettività di Gesù che ti dice: “Io ti assolvo”, cioè io ti sciolgo, io ti libero, ti libero da qualcosa che non ti puoi togliere da solo».
In questa prospettiva, il santo è colui che vive secondo la grazia ricevuta e «l’unione con Cristo, profonda, e realizzata dallo Spirito Santo. È lo Spirito di Cristo che trasforma questo uomo e gli dona i pensieri, le priorità, il modo di valutare, di decidere che è quello di Gesù Cristo». Vive dunque «plasmato, forgiato dallo Spirito di Cristo, in un rapporto libero di continua corrispondenza» per amare come ama Dio. Pertanto «il santo è un povero che invoca incessantemente. È lo Spirito Santo che ti rende santo. Non sono le tue capacità che ti rendono santo. Pascal diceva una bellissima frase: “Per fare di un uomo un santo ci vuole proprio la grazia e chi ne dubita non sa che cosa sia né un santo né un uomo”». Infine «il santo è anche un guarito, uno che è grato di essere guarito. Il santo lo definirei una persona grata, grata, grata! Capace di dire grazie della vita».
Relativamente al ‘passo’ dedicato al tema della Sacra Scrittura, il sacerdote oratoriano precisa che «va letta nella prospettiva della salvezza, del salvarsi, della felicità, della risposta di senso. Le pagine della Bibbia sono realmente la verità della nostra vita. In questo senso, in esse non c’è alcun errore nelle risposte che danno per la nostra salvezza, per la nostra felicità, su chi è Dio e su chi è l’uomo».
«Perché devo andare a Messa? Perché Gesù lo desidera». È questa, secondo padre Maurizio Botta, la «risposta evangelica» che ciascuno è chiamato a dare, credente o non credente che sia. Una risposta, dunque, a un invito ardente di Gesù. D’altra parte «ciò che mangi e bevi lo assimili, ti entra dentro, non è una semplice adesione intellettuale a un messaggio, a dei valori, a un maestro di morale, le parole di Gesù non sono solo esemplari. Gesù vuole intimamente un’unione carnale, nella carne, nel corpo, con i suoi fedeli», perciò inventa l’Eucarestia. Tuttavia, alla comunione sacramentale deve accompagnarsi una comunione spirituale, una «comunione di intenti e di volontà», prima e dopo la Messa, con quello che vuole Cristo per amare come ama Lui. Solo così infatti si diventa pienamente, come affermano i Padri della Chiesa, il suo Corpo di cui ci si è nutriti e si viene assimilati sempre di più a Lui.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana