Democrazia e politica, le ragioni psicologiche, filosofiche e personali che conducono da sempre i leader a ricorrere all’uso della forza e il rapporto tra informazione e potere sono i temi al centro del recente saggio La politica (Reverdito 2023, pp. 224) del professore e giornalista Francesco Agnoli. Tali questioni mettono in luce l’«eterno conflitto tra chi coltiva un valore alto della Vita e chi la riduce a esercizio spregiudicato del potere», come scrive Marcello Foa nella prefazione al volume.
Secondo Aristotele l’uomo è per natura un animale politico. Nel solco della sua filosofia, «per Tommaso d’Aquino – che traduce in filosofia e in politica il messaggio evangelico – l’uomo è un singolo, una creatura unica e irripetibile, ma in relazione, in comunità-alleanza con gli altri. Non è un caso che nella sua epoca si realizzi la splendida avventura dei Comuni italiani, caratterizzati da una partecipazione allargata dei cittadini alla vita politica, dall’attività delle Corporazioni dei mestieri e dalle Università (anch’esse corporazioni di studenti o di docenti)». Lo Stato deve impegnarsi a garantire il bene comune, «esercita così una giusta autorità, ma non è Dio, non è insindacabile, e il bene comune, vero o presunto che sia, non cancella il bene privato. Compito di chi esercita il potere nella polis è dunque dare possibilità, è rendere attuale la potenzialità dei cittadini: uno Stato che rende impossibile la pietà verso i defunti (vedi Antigone), oppure un lavoro dignitoso, ad esempio, per l’eccesso di tasse o di burocrazia, esercita il potere non nel senso positivo, ma in quello negativo».
Perciò per Socrate è fondamentale «mettere i cittadini in dialogo con la propria coscienza, con la “voce divina” che in ognuno di noi pone un limite, dice cosa “non fare”», laddove i sofisti vedono nella legge solo l’utile del più forte. Sulla scia della tradizione filosofica classica, di Antigone e Cicerone, i cristiani ritengono che «veritas, non auctoritas, facit legem» («la Verità, non l’autorità, fa la legge»). Per Agostino e Tommaso, infatti, «esiste una legge naturale, una morale naturale, che si esprime in una serie di principi etici minimi universalmente condivisibili» che la ragione riconosce. Rispetto ai greci il pragmatismo romano concede la cittadinanza al di là dei confini dell’urbe «con un’indifferenza al fattore etnico che nasce dalla consapevolezza di essere un popolo misto frutto dell’incontro e fusione di popoli diversi», come osserva Marta Sordi. Matrimoni di Stato secondo rigide divisioni di classi e infanticidio di bambini malformati sono invece previsti nella prima utopia politica, la Repubblica di Platone, cui fanno eco Utopia di Moro, l’opera “protocomunista” poi rinnegata dallo stesso autore, e La città del sole di Campanella; mentre comunismo e nazionalsocialismo rappresentano purtroppo due utopie tragicamente realizzate.
Relativamente alla democrazia, la prima ideologia di esportazione della stessa si realizza con l’imperialismo di Pericle. In effetti la storia di una “democrazia cristiana” comincia coi dodici apostoli per poi proseguire con Costantino, «che vietò i giochi del circo, la crocifissione, l’infanticidio, il marchio a fuoco sugli schiavi». Anche il Papa agli inizi viene eletto per via democratica dal clero e dal popolo di Roma. Riguardo alle derive politiche della democrazia, basti ricordare la «Germania dell’est, comunista, che si autodefinisce Repubblica democratica tedesca (DDR) pur essendo una dittatura e arriva a denominare il muro di Berlino, eretto per incarcerare il suo stesso popolo, “barriera di protezione antifascista”».
Sul tema della guerra Agnoli sottolinea come per la civiltà atzeca i sacrifici umani reggano e “salvino” il mondo. Per Eraclito la guerra è il principio della realtà; per Aristotele un’azione legittima che consente di assoggettare i popoli barbari. Per Agostino e Tommaso d’Aquino, invece, «ogni guerra è un male in sé, ma può essere, non tanto giusta quanto giustificabile, quando vi sia una iusta causa (ovvero la necessità di difendere un diritto di sommo rilievo, il diritto all’esistenza, alla libertà, al proprio territorio, ai propri beni, al proprio onore; la causa deve proporzionarsi ai gravi mali che si affrontano nella guerra, deve esservi fondata speranza che i vantaggi prevarranno sui danni) e quando la guerra sia l’ultima o extrema ratio (se sono falliti i mezzi pacifici di soluzione della controversia)».
La guerra è anche mediatica per motivi di controllo e dominio politico. Di qui, per esempio, Lutero diffonde nelle sue opere tante caricature del papa; «Enrico VIII e sua figlia Elisabetta sono tra iprimi a imporre rigida censura e controllo della stampa perpresentare il papa come un nemico dell’Inghilterra e se stessicome legittimi capi di una chiesa da loro inventata». Allo stesso modo gli inglesi utilizzano la propaganda per screditare gli spagnoli, sia in relazione all’Inquisizione che all’opera dei conquistadores, intessendo le ‘leggende nere’ riprese poi dagli illuministi. Così all’opera di «Bartolomeo De Las Casas, uno dei tanti spagnoli che lottano contro i propri connazionali per il rispetto degli indigeni, aggiungono immagini terrificanti. Un capolavoro della propaganda: utilizzare uno spagnolo, la sua azione a favore degli indigeni, per demonizzare gli spagnoli; raccontare ossessivamente le colpe altrui per far dimenticare le proprie, immensamente più consistenti e numerose!». A differenza di quella di coloni inglesi, olandesi e belgi, la legislazione spagnola era piuttosto «un modello di giustizia ed equità», come rileva Cardini.
La stragrande maggioranza dei media preferisce dunque la manipolazione dell’informazione, per cui «finge di riferire un fatto mentre intende produrlo», come osserva Kierkegaard. Troppi «giornalisti vivono noleggiando opinioni», per dirla ancora col filosofo danese. A costoro resistono i cronisti seri che non si piegano alle ideologie, come Giovannino Guareschi che denuncia la propaganda comunista senza compromessi, o Dominique Lapierre il quale, conquistato dall’incontro con Madre Teresa, racconta e supporta la vita dei derelitti delle bidonville indiane.