Genitori e figli, insegnanti e studenti lo sanno: si educa innanzitutto con l’esempio più che con tante prediche. Eppure un tragico omicidio che ha recentemente scosso l’opinione pubblica, quello di Giulia Cecchettin, è stato strumentalizzato in modo particolare dal mondo femminista per chiedere interventi d’emergenza urgenti alla politica. Come purtroppo spesso accade nel nostro Paese, reagendo sulla scia dell’emotività, il governo si accingeva a proporre un indottrinamento da “Stato etico”, «infiltrando nelle classi sedicenti esperti a spiegare quali sentimenti provare, come e quando», come hanno osservato Toni Brandi e Jacopo Coghe in un recente comunicato ribadendo opportunamente «il diritto di priorità educativa dei genitori su temi sensibili», che «non è compito di funzionari statali di qualsiasi provenienza culturale».
In questa pericolosa direzione rischiava infatti di andare la direttiva del Ministro Valditara dello scorso 24 novembre, con la quale inaugurava il progetto “Educazione alle Relazioni” – un percorso sperimentale per le scuole di 30 ore extracurriculari, attivabile su base volontaria – affidandone il coordinamento a Paola Concia, suor Anna Monia Alfieri e Paola Zerman. Il nome di Paola Concia, attivista e testimonial di punta dell’agenda Lgbt, ha però subito giustamente fatto presagire che tale progetto avrebbe offerto lo spiraglio per un indottrinamento gender nelle scuole dietro il pretesto di combattere la violenza di genere. Un progetto che – ci teniamo a ribadirlo, a scanso di equivoci, – per Pro Vita & Famiglia è e rimane comunque inadatto e inopportuno, poiché crediamo che non ci debba essere nessun tipo di intervento statale nell’educazione sessuale o affettiva di bambini, ragazzi e adolescenti, che deve dunque rimanere in mano alle famiglie.
Di qui, grazie alla campagna prontamente lanciata da Pro Vita e Famiglia che in meno di 24 ore ha raccolto quasi 30.000 firme, le nomine dei ‘garanti’ del progetto sono state prontamente ritirate e la proposta è stata accantonata, perlomeno per il momento, al fine di mettere a tacere le polemiche di questi giorni e restare in attesa di acque più tranquille. Polemiche che, dopo la denuncia della Onlus, sono emersa anche in seno allo stesso centrodestra, con malumori crescenti in vari esponenti dell’attuale maggioranza.
In effetti alla scaturigine del problema di tali violenze non c’è né il patriarcato, né l’educazione scolastica; semmai, al contrario, rispettivamente l’assenza del padre e l’indottrinamento ideologico. Le cause e le motivazioni che possono spingere un giovane a commettere un omicidio o atti violenti sono infatti da ricercarsi nel suo cuore. Certo il contesto edonista, narcisista e nichilista non aiuta, ma la responsabilità dell’atto rimane in seno alla persona che la compie, e non al ‘genere maschile’.
«L’educazione è questione di cuore», affermava don Bosco, uno dei pionieri insuperati della pedagogia non teorica ma concreta. Egli allude al fatto che occorre essere innanzitutto, prima che maestri, testimoni credibili di quanto si insegna e farlo con amore, perché i figli guardano ai loro genitori fuori e dentro casa, come gli studenti agli insegnanti ed educatori dentro la classe e nei corridoi. Si educa infatti specialmente quando non si è impegnati a educare: è questo il paradosso dell’educazione, come osserva acutamente il professor Franco Nembrini. Inoltre occorre notare che non è sufficiente la conoscenza del bene per la sua attuazione, come invece riteneva l’intellettualismo socratico.GiàAristotele rilevò il limite della concezione di Socrate, individuando nella volontà l’elemento decisivo trascurato dal filosofo, la quale è sempre possibilità aperta di scegliere tanto il bene quanto il male. In sostanza è necessario educare più con l’esempio che con tante prediche intorno ai valori e al bene da compiere. I giovani devono poter riconoscere l’amore e il bene nei gesti concreti di quanti s’impegnano a incarnare i valori che additano loro e, sulla scia luminosa di tali esempi, allenare la propria volontà a compierlo.