Le donne devono essere libere e emancipate, far carriera come e più degli uomini ed eventualmente anche poter ricorrere a contraccezione e aborto, ma guai a diventare madri. È questo il refrain ormai dominante nei media e consolidato in un’opinione pubblica permeata dalla matrice femminista postsessantottina e dalle istanze edoniste dell’ideologia di genere.
«Mia madre mi diceva sempre: ricordati che qualsiasi cosa tu voglia fare (e io volevo fare politica da quando avevo 12 anni) la tua prima aspirazione deve essere quella di essere mamma a tua volta. E questo dobbiamo ricordarlo alle nostre figlie altrimenti il rischio è che in nome della realizzazione professionale, che io auspico e che è giusta, dimentichiamo che esiste la necessità e la missione, chiamiamola così, di mettere al mondo dei bambini che saranno i futuri cittadini italiani». Si è espressa con queste parole la senatrice di Fratelli d’Italia Lavinia Mennuni durante la trasmissione Coffee break su La7 ed è subito scoppiata la polemica.
In questo modo «si vede la donna esattamente come 100 anni fa», ha commentato tra le altre la senatrice M5S Barbara Floridia, presidente della commissione di vigilanza Rai.
Eppure, partendo dalla confidenza di un’esperienza familiare concreta e non da un ragionamento puramente teorico, quello della senatrice voleva essere semplicemente un appello al gentil sesso sulla scia del senso comune e in linea con la disponibilità naturale (e dunque non legata ai valori culturali transeunti)e specifica della donna a custodire e generare la vita. E in effetti carrierismo, posizione e prestigio sociale, né tanto meno la fama passeggera delle stories di Instagram possono neanche lontanamente competere con la bellezza, preziosità e nobiltà impareggiabile di generare, amare e custodire la vita di un figlio, come ogni mamma, casalinga o lavoratrice che sia, può testimoniare.
Di qui la stessa Mennuni ha evidenziato ancora l’esigenza di «aiutare le istituzioni, il Vaticano, le associazioni a far diventare la maternità di nuovo ‘cool’. Dobbiamo far sì che le ragazze e i ragazzi di 18 e 20 anni vogliano sposarsi e creare una famiglia. Poi lo Stato verrà dietro». Certo, al di là delle sterili polemiche sul ruolo della donna, per attuare tale prospettiva sono necessari non solo una svolta nelle politiche di welfare per la famiglia, ma soprattutto un capovolgimento radicale del paradigma culturale dominante che, in nome dei principi di piacere e fluidità di legami, genera di fatto soltanto insoddisfazione, solitudine e infelicità sotto gli occhi di tutti. Occorre allora ridestare opportunamente nelle donne, accanto al desiderio di realizzazione professionale, quell’aspirazione grande e costitutiva del cuore femminile alla maternità, nella quale poter conseguire il proprio autentico compimento e la vera felicità.