«Il senso del mistero è il senso di ogni vera arte e di ogni vera scienza», scrive Einstein. In questa scia si colloca l’ultimo saggio di Umberto Fasol Pensare l’evoluzione(Tau Editrice 2023, pp. 110), nel quale lo stesso docente di scienze naturali, attualmente Preside Alle Stimate di Verona, considera tutto il fascino della creazione dalla fotosintesi clorofilliana alle sistole del cuore umano, dal DNA alle recenti scoperti biochimiche, rilevandone l’eccedenza della vita e l’affabilità del mistero.
«Nulla è più straordinario di un ordinario che si ripete ogni istante da milioni di anni senza interruzioni, senza pause pubblicitarie, senza cambi di rotta, riproducendosi di generazione in generazione». Basti pensare al cuore che «inizia a pulsare dalla terza settimana dal concepimento e compie circa tre miliardi di sistoli nel corso di una vita medio-lunga, senza mai interrompersi, modulando la frequenza in funzione della nostra vita e cioè rallentando durante il sonno ed accelerando durante l’attività fisica o durante lo stress».
Relativamente all’ipotesi evoluzionista, non è giustificabile a livello di macroevoluzione nel passaggio da una specie all’altra, come «dallo scoiattolo alla donna». D’altra parte «se le aquile e i moscerini sono fatti delle stesse cellule, come mai sono diventati così diversi?». Per cui, osserva Fasol, «non esiste la “legge dell’evoluzione”: fissate determinate condizioni biologiche ed ambientali, non possiamo prevedere come evolverà il sistema. Mentre in fisica, chimica e in astronomia esistono numerose situazioni che descrivono il comportamento della materia nelle diverse situazioni e consentono di fare previsioni sicure, nell’ambito della biologia evoluzionistica non esiste nulla di simile». E in effetti già Darwin aveva considerato una possibile obiezione alla sua teoria nell’assenza di documentazione fossile riguardo alle forme intermedie. Di qui per esempio i fossili di Bolca (VR), felci arboree e pesci risalenti a esseri di 50 milioni di anni fa, si presentano oggi con la medesima forma, per cui smentiscono l’ipotesi di una gradualità delle forme viventi, come tra l’altro anche la stessa riproduzione conservativa del DNA che segue un rigido protocollo. Si tratta allora piuttosto da un lato di «ricercare quelle mutazioni che agiscono sul genoma e l’epigenoma», mentre dall’altro di constatare l’impossibilità della scienza neodarwiniana di spiegare l’insorgere della mente come la giustapposizione di cornea, reticolo e cristallino, assolutamente eterogenei sul piano anatomico e fisiologico, eppure tutti e tre assolutamente necessari per la vista. Una teoria che pretenda di accreditarsi come scientifica non può inoltre liquidare linguaggio e codice genetico come «“accidentali”, felici errori non previsti», soltanto perché non riesce a spiegarli. Allo stesso modo risulta estremamente riduttiva e dunque insufficiente la volontà di spiegare l’amore umano esclusivamente sulla base di ormoni e neurotrasmettitori.
È dunque inverosimile che da una serie di eventi fortuiti e combinazioni casuali, per abiogenesi (generazione spontanea), si sia passati da esseri unicellulari a forme coscienti da un ipotetico antenato comune. Anche perché sussiste una discontinuità tra la vita e la non vita; tra la litosfera composta per i tre quarti da ossigeno e silicio, alluminio, ferro, calcio, sodio, magnesio e pochi altri elementi, e la cellula, composta per l’80% di carbonio, ossigeno, idrogeno e azoto. Di qui, rispetto alla tesi creazionista, risulta decisamente debole sul piano razionale la narrazione della “scienza”, che invoca come garanti della vita scontri casuali tra molecole semplici e inerti, presenti nell’aria, senza alcun progetto. Sarebbe come, per usare una similitudine, pensare a una casa con tutti i comfort da una serie di mattoni sparsi alla rinfusa in un cantiere. Quand’anche ciò fosse ammesso, non si spiegherebbe comunque l’invenzione da un’unica cellula della divisione in due mediante la mitosi, così come il suo sviluppo tridimensionale lungo i tre assi dello spazio. Si pensi poi al grande mistero della luce che impiega 150 milioni di km per raggiungere la Terra, «un gigantesco pannello solare a forma sferica che, grazie alle antenne di clorofilla, cattura le energie del sole e la converte in cibo, avviando così il primo anello della catena alimentare sia negli oceani che sulla terraferma. Senza sole non c’è energia, senza clorofilla non c’è cibo». A riservare ancora mirabili sorprese sono la membrana cellulare che, per le sue informazioni, «è come fosse un essere vivente a forma di pellicola chiusa»; glicolisi e fosforilazione ossidativa, reazioni chimiche che avvengono in meno di un secondo, o le reazioni metaboliche, nelle quali «tutto è connesso in maniera dinamica e ogni evento è controllato e controlla gli altri», come avviene tra glicemia e insulina nel nostro corpo.
Anche la biochimica è un terreno misterioso ricco di continue scoperte. Di qui «il codice genetico può conferire le sue informazioni agli amminoacidi ed essere compreso, proprio perché un qualche “accordo previo” consente alle parti di capire il significato del messaggio». Inoltre «il DNA conosce le proteine e queste conoscono il DNA; ogni molecola è materia e informazione nello stesso tempo. Come fanno gli atomi a essere a conoscenza del tutto? Eppure, lo sono». Tale la legge della connessione universale è ancor più strabiliante se si considerano il DNA di una singola cellula – «una collana di circa due metri, fatta di tre miliardi e duecento milioni di basi azotate avvolta a gomitolo in una goccia d’acqua del diametro di pochi nanometri» –; i processi dell’ATP sintasi (ne consumiamo in media 50 kg al giorno), «una splendida macchina molecolare, una cattedrale enzimatica»; e il meccanismo di respirazione/fotosintesi, silenzioso e continuo «attrattore e nel contempo sintesi di ogni processo vitale» da miliardi di anni, come evidenzia acutamente Fasol.
Alla luce di tali elementi, conclude il docente veronese, «se tutto questo non rappresenta l’evidenza di un progetto finalizzato, devo rinunciare a fidarmi della mia ragione». La ragione al contrario è autenticamente se stessa allorquando riconosce i propri limiti e nel contempo accoglie con stupore il mistero della vita, rendendosi conto che «ogni volta che scopre un dettaglio o la causa di un fenomeno, scorge nuovi scenari inediti, che presentano punti interrogativi ancora più grandi di quelli appena risolti».
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana