«Ho visto durante tutta la mia infanzia impagliare le sedie esattamente con lo stesso spirito e lo stesso cuore e la stessa mano con cui quello stesso popolo aveva tagliato le sue cattedrali». Così Charles Péguy introduce una tra le più imponenti e maestose opere dell’arte medievale, simbolo eloquente dello spirito di un’epoca, ossia la cattedrale di Chartres, alla quale dedica L’arazzo di Notre-Dame (Mimep-Docete 2024, pp. 204). Si tratta di un testo poetico composto da 222 quartine – 950 versi di intenso lirismo di cui si può apprezzare pienamente anche la musicalità del verso nell’originale francese in appendice al volume –, accompagnato in questa pregevole edizione da cento scatti d’autore che invitano il lettore ad ammirare i particolari delle meravigliose sculture in pietra e vetrate della monumentale cattedrale.
Assecondando il ritmo delle quartine il testo si snoda attraverso un rapido susseguirsi di immagini, metafore e rimandi biblici che rievocano il primo pellegrinaggio compiuto dall’autore da Notre-Dame di Parigi a Notre-Dame di Chartres tra il 14 e il 17 giugno 1912, 130 chilometri a piedi tra andata e ritorno in soli tre giorni, per ringraziare la Madonna per la guarigione del terzogenito Pierre Marcel.
Le tappe salienti della sua conversione dall’ideologia pacifista e liberticida del ‘credo’ socialista alla verità della fede cristiana sono così trasfigurate dalla potenza evocativa di immagini che richiamano le contrapposizioni tra fede e mondo moderno, carne e spirito, le quali costituiscono il leitmotiv della produzione letteraria dello scrittore e giornalista francese. «Péguy intreccia, con le sue parole, i fili di un grande arazzo, quelli della propria storia personale e quelli del destino della Francia, del suo glorioso passato, ma anche di un presente afflitto dalla cultura materialista e anticristiana che lo scrittore denuncia con lucidità profetica», osserva Alfredo Tradigo nell’introduzione all’opera.
Un pellegrinaggio personale esteriore e interiore che diventa metafora della vita stessa di ogni uomo dal peccato alla grazia e libertà dei figli di Dio; un passaggio evocato dall’immagine che apre l’opera: una nave da carico piena di «povere granaglie», che presto saranno trasformate in grano, spezie e oro, è pronta a salpare dalla Senna all’altezza di Notre-Dame verso Chartres, guidata da «un giovanotto che fischietta dalla testa dura e modi sbrigativi» che tanto somiglia al poeta stesso.
Lo scrittore francese sperimenta e gusta lungo il cammino la sovrabbondanza della grazia divina, pur soffrendo la vita lontana dai sacramenti per il matrimonio soltanto civile con la moglie Charlotte, atea e comunista. Arriva dunque a Chartres con «tutto il peso della nostra indegnità» e l’animo inquieto e diviso, anche a causa di «un’intemperanza del cuore» verso una sua collaboratrice, ma proprio ai piedi del Crocifisso matura la decisione di rimanere fedele alla moglie. Tra le alte mura della cattedrale ritrova in Cristo l’unità del cuore e la pacificazione dei propri sentimenti, modificando lo sguardo sulla propria esistenza per essere «schiavo di Maria», poiché nella Vergine riconosce il porto sicuro.
Giunto alla meta nel periodo in cui la piana di Beauce si presenta come una distesa di grano dorato pronto per la mietitura Péguy vede stagliarsi, quasi come la spiga più alta, la guglia dedicata a Maria Assunta, «il più bel fiore della tua corona». Nella sua maestosa bellezza la cattedrale si presenta quale «rifugio eterno per l’anima solitaria» e la sua guglia più alta (115 metri) è una «freccia purissima» scagliata verso il cielo per la salvezza delle anime che fa esclamare al poeta: «Ecco la sola fede che non spergiura / ecco il solo slancio che sappia salire / ecco il solo proposito che si compia e duri / ecco la verità il resto è impostura».
Una volta ai piedi di Maria, Péguy consegna all’intercessione potente della Vergine l’esistenza di un giovane suo collaboratore morto prematuramente per una fatale iniezione di morfina, nella fiducia che «dov’è passata la morte passerà la grazia». E poi «nunc et in hora – ti preghiamo per noi / che siamo più stolti di quel ragazzo / e senza dubbio meno puri e affidati / meno abbandonati sulle tue ginocchia». Con cuore grato e profonda umiltà Péguy si rivolge ancora alla Madonna: «Nulla ti chiediamo o rifugio del peccatore / se non l’ultimo posto in Purgatorio / per piangere la nostra tragica sorte / e contemplare da lontano il tuo splendore».
Al cospetto della Vergine il lirismo poetico si pone al servizio della preghiera: «Nel cavo della tua mano è il solo rifugio / giardino segreto dove l’anima sboccia». Rigenerato dalla Madre a vita nuova, il poeta accoglie la sua rinascita spirituale, poiché «qui è solo tenerezza e sollecitudine / di due braccia materne tese verso di noi», perché Maria è «il luogo dove si ritorna novizi», nella misura in cui si impara da Lei a «serbare per Lui questo misero amore».
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana