Bambini e adolescenti manifestano ansia, depressione e altri disturbi mentali in maniera esponenziale in relazione alla loro esposizione a schermi e social. È quanto sostiene Jonathan Haidt – specializzato in psicologia morale e docente di leadership etica alla Stern School of Business dell’Università di New York – nel recente saggio, bestsellers negli Usa, La generazione ansiosa (Rizzoli 2024, pp. 456), nel quale esplora l’impatto di smartphone e social network sulla salute mentale dei ragazzi della Generazione Z (nati a partire dal 1995).
Nati e cresciuti tra Instagram e TikTok, tali giovani pagano le conseguenze di un’adolescenzasempre più virtuale, che rafforza il sentimento di pressione sociale, confronto e isolamento. Haidt ne analizza i dati allarmanti, indagando anche come l’influenza di fattori sociali e culturali, comprese le interazioni in rete sui social, contribuiscano notevolmente anche alla diffusione del fenomeno della disforia di genere.
A partire dal 2000 cominciano a proliferare aziende tecnologiche nella West Coast che, sfruttando «un tecno-ottimismo» dilagante, col pretesto di «rendere la vita più facile, più divertente e più produttiva, aiutando le persone a mettersi in contatto e comunicare», mascherano di fatto un unico obiettivo: «massimizzare il coinvolgimento, servendosi di trucchi psicologici per mantenere i giovanissimi incollati allo schermo. Attiravano i bambini durante le vulnerabili fasi dello sviluppo, quando il cervello si riconfigura rapidamente per rispondere agli stimoli in arrivo. Tra queste rientravano le aziende di social media, che provocavano i danni maggiori alle femmine, mentre produttori di videogame e siti pornografici facevano un’enorme presa sui maschi. Progettando un flusso di contenuti accattivanti che penetrano negli occhi e nelle orecchie dei bambini e sostituendo il gioco fisico e la socializzazione dal vivo, queste aziende hanno riconfigurato l’infanzia e alterato lo sviluppo umano su scala quasi inconcepibile», osserva acutamente Haidt.
Tali effetti drammatici sul benessere psicofisico degli adolescenti si riscontrano in particolar modo nella ‘Generazione Z’, dal momento che l’introduzione della possibilità di like econdivisione di contenuti risale al 2009 e quella delle fotocamere frontali per i selfie al 2010. Diventa allora necessario e virale «ottenere l’approvazione dei coetanei, ossigeno dell’adolescenza, ed evitare lo shaming online, incubo dell’adolescenza», constata lo psicologo newyorkese.
Trascorrendo meno tempo a parlare, giocare o anche solo guardarsi negli occhi con amici e familiari gli adolescenti sono così divenuti vittime più che protagonisti di «un modello di crescita radicalmente nuovo, lontano dalle interazioni del mondo reale», in quella che Haidt definisce «la Grande Riconfigurazione dell’Infanzia», alla quale ha contribuito anche l’iperprotezione dei genitori, che ha privato i figli del ‘gioco libero’ – mediante il quale i ragazzi «imparano a sopportare i lividi, gestire le emozioni, interpretare gli stati d’animo dei coetanei, risolvere i conflitti, fare a turno, giocare con correttezza» -, traghettando l’«infanzia fondata sul gioco» nella «infanzia fondata sul telefono».
Privazione del sonno, deprivazione sociale, frammentazione dell’attenzione e dipendenza sono dunque, secondo Haidt, i principali danni della rivoluzione digitale, che ha reso di fatto «più difficile pensare, concentrarci, dimenticare noi stessi quel tanto che serve per occuparci degli altri e costruire relazioni intime».
Stando in particolare ai dati Usa, tra i teenagers americani che hanno manifestato almeno un episodio di depressione maggiore tra il 2010 e il 2015 si è registrato un aumento del 145% per le femmine e del 161% per i maschi. Allo stesso modo il tasso di atti autolesivi è triplicato dal 2010 al 2020; quello dei tentativi suicidari negli stessi anni è aumentato del 167%, in specie per le adolescenti. Parallelamente, secondo un’indagine condotta dal Pew Research Center, nel 2015 un teenager su quattro ha dichiarato di essere connesso «quasi costantemente»; nel 2022 gli adolescenti che hanno evidenziato lo stesso atteggiamento sono diventati il 46%.
Emerge pertanto una stretta correlazione tra esposizione ai social e crollo della salute mentale tra gli adolescenti. Sono infatti gli anni in cui con lo smartphone la vita, in specie dei più giovani, «è sempre altrove», per dirla con le parole della professoressa Sturkle del Mit. Per cui «che usi o meno i filtri, ciò che una ragazzina vede riflesso nello specchio diventa sempre meno attraente in confronto alle immagini che guarda sul telefono». Nel contempo i ragazzi si ritirano sempre più nel mondo virtuale impegnandosi in videogame online per multigiocatore o rifugiandosi nella fruizione di video pornografici.
Schemi e modelli sociali, relazioni, attività fisiche e persino i ritmi del sonno vengono completamente rimodulati nell’era dei social a portata di smartphone. Se infatti nel mondo reale le interazioni fisiche, a tu per tu e sincronizzate, sono fondamentali per crescita e sviluppo della persona; nel mondo virtuale tali interazioni sono al contrario non corporee, asincrone e tra uno e molti. Sui social, poi, ogni azione è pubblica, per cui non viene più fatta magari per il semplice gusto di farla, ma diventa una strategia per comunicare se stessi alla stregua di un brand. I social hanno poi «violato uno dei più importanti meccanismi di apprendimento degli adolescenti, distogliendo tempo, attenzione e comportamento imitativo da una serie di modelli che avrebbero potuto fare loro da mentori per aiutarli ad avere successo nelle comunità del mondo reale», laddove invece i punti di riferimento da emulare sono divenuti coloro «la cui dote principale è quella di accumulare follower da influenzare».
Insomma, per cercare di arginare tale deriva educativa,le cui conseguenze continuano a ricadere drammaticamente sulla pelle dei ragazzi, Haidt avanza quattro proposte concrete per invertire la rotta e proteggere il benessere psicologico dei giovani: niente smartphone prima delle scuole superiori; niente social media prima dei sedici anni; a scuola senza cellulare e molto più gioco senza supervisione e indipendenza, per consentire ai bambini «di sviluppare in modo naturare le abilità sociali».
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana