“Dove la verità sul bene è negata, distorta e infangata, dove i desideri spadroneggiano e rivendicano di essere assecondati dal diritto, i cittadini sono in se stessi spadroneggiati dalla tirannide delle pulsioni, prima ancora che dal tiranno”.
Con queste parole Giacomo Samek Lodovici, docente di Storia delle dottrine morali e di Filosofia della Storia all’Università Cattolica di Milano, introduce il profondo legame esistente tra etica e politica e la propria riflessione teoretica ma al contempo divulgativa su bene comune, diritti umani e virtù civili nel suo recente volume La socialità del bene (Edizioni ETS, Pisa 2017, pp. 341, € 22). In proposito egli puntualizza infatti che “se la libertà si sgancia del vero bene”, magari perché lo ritiene inconoscibile, allora si pone “al servizio dell’insaziabile sequela dei desideri del soggetto. Così, illudendosi di coltivare la propria autodeterminazione, in realtà si assoggetta alla schiavitù delle pulsioni stessi”. Difficile non cogliere in tali considerazioni un’eco della nostra società ove, come testimonia soprattutto la ricerca spasmodica di emozioni forti da parte delle giovani generazioni, la capacità della ragione di cogliere il vero e della volontà di assecondare il bene personale e sociale viene frequentemente subordinata piuttosto alla tirannia del desiderio che giunge spesso e volentieri anche a dettar legge e a pretendere un riconoscimento giuridico delle proprie voglie. Per arginare una simile pretesa, occorre invece tener presente che la libertà non è solo «’libertà da’ e ‘libertà di’, ma è anche, e fondamentalmente, ‘libertà per’ il bene», ossia capacità di agire in vista del bene proprio e altrui.
L’uomo non è un homini lupus, come voleva Hobbes, ma è sostanzialmente relazione: egli “viene alla luce in un altro uomo”, come sostiene il professor Botturi. Uscendo da un’ottica individualista, quale è quella propria di colui che “si cura delle relazioni, ma non se ne cura”, è possibile constatare al contrario che “la prima esperienza umana del bene è quella che concerne quel bene che è l’altro”. Il riconoscimento del valore dell’alterità è infatti sia il presupposto per riconoscere il senso della propria identità, sia il criterio per un agire autenticamente morale dell’uomo. Tale dimensione etica ha anche un’immediata ricaduta in ambito politico, dal momento che “la promozione della dignità della persona umana è un fine primario degli Stati”. Per questo motivo, se è “dal concetto di dignità che derivano il principio di solidarietà e quello di sussidiarietà”, occorre allora “ripensare la dottrina dei diritti umani in armonia col concetto di bene comune”, nella lucida consapevolezza che “i diritti della persona sono fini fondamentali degli Stati, sono la conseguenza della dignità e cercano di proteggerla e promuoverla”. Pur fondandosi su tale principio, le attuali democrazie liberali sembrano però aver dimenticato il primato della dignità della persona. Questo principio antropologico, prima che giuridico o etico, è in effetti costantemente disatteso nella prassi politica.
È perciò necessario, secondo l’autore, che lo Stato s’impegni maggiormente a incentivare lo sviluppo di ‘comunità umanizzatrici’ per una fioritura di un’etica delle virtù sociali (fedeltà, altruismo e sollecitudine), delle virtù economiche (laboriosità, inventiva, creatività) e delle virtù politiche (coraggio, lealtà e partecipazione attiva alla vita pubblica) in grado di scardinare le maglie di una società tristemente egolatra e di generare comportamenti “fedeli alla legge naturale compresa dalla coscienza” e dunque realmente tesi alla realizzazione del bene comune. Nell’acuta analisi di Giacomo Samek Lodovici le virtù si rivelano in sostanza come ‘il potere dei senza potere’, ossia quali “declinazioni del bene (morale) necessarie alla civiltà e alla società”, nella misura in cui “esprimono e realizzano la socialità del bene”.