“Guardatemi io sono un dio e guardate che cosa mi hanno fatto gli dei! Guardate che oltraggio devo subire, tormentato per un tempo infinito!”. È questo il grido straziante che erompe tra le rocce del Caucaso. Lo pronuncia Prometeo, il più intelligente tra i Titani della mitologia greca, colui che, in virtù della sua astuzia, osa sottrarre il fuoco agli dei perché gli uomini beneficino di tale invenzione. La sua presunzione (hybris) sarà però duramente punita da Zeus che, dopo averlo fatto legare a una rupe, manda ogni giorno un’aquila a dilaniargli il fegato che puntualmente gli ricresce.
Questo il mito che è riecheggiato tra le rovine del Teatro Romano di Grumento Nova, grazie a un’intensa interpretazione dell’attore Alessandro Preziosi. Egli ha dato voce all’eroe greco in un reading di grande spessore nell’ambito della rassegna teatrale estiva promossa dal Consorzio “Teatri Uniti di Basilicata”. Cuore del recital è stato naturalmente il Prometeo Incatenato, l’unica tragedia superstite della trilogia di Eschilo dedicata al Titano. Ma nelle pagine ripercorse magistralmente dalla voce grave e profonda di Preziosi c’è spazio anche per Simone Weil, Goethe, Lord Byron, la Genesi e San Paolo, che contribuiscono a delineare un personaggio multiforme, che assume diversi volti, da quello di Adamo, che oltrepassa il proprio limite cibandosi del frutto proibito della conoscenza del bene e del male, a quello di Lucifero che, incurante delle leggi umane e divine si rivela, additando se stesso come dio, quale novello “figlio della perdizione”. Insomma in scena “non c’è solo il Prometeo incatenato riconosciuto dal mito, ma un uomo, un uomo solo, che si interroga e si arrovella, quasi si divora, nella sua incontenibile esigenza di dialogo con uomini e dei, nel chiedersi ossessivamente cosa sia il Bene e cosa sia il Male, interprete dell’eterno afflato di assoluto che contraddistingue propriamente la nostra natura umana, e si dibatte nella presunta colpa di aver voluto carpire ciò che deve restare Mistero”.