La risposta al narcotraffico in Colombia
La Colombia è universalmente nota come ‘il paese della cocaina’ nel quale si combatte uno dei conflitti armati interni tra guerriglie e paramilitari/esercito più lunghi della storia dell’America Latina, con effetti devastanti sulla popolazione civile. Quattro milioni di sfollati interni, sei milioni di ettari di terra usurpati, 15mila persone torturate, 60mila scomparse, 80mila esecuzioni extragiudiziarie, 11mila bambini soldato”. Questi i numeri tragici riportati da Cristiano Morsolin nel suo libro Antimafia andina. Il contributo dell’antimafia sociale e della nonviolenza alla Pace in Colombia (pp. 153, Edizioni Antropos, € 14). L’autore, esperto di diritti umani in America Latina dove vive dal 2001, ha lavorato in progetti di cooperazione internazionale ed è stato anche insignito di una menzione dall’ONU proprio per il suo operato in Colombia.
Nel suo saggio Morsolin racconta le ferite profonde di un territorio noto non solo per i suoi conflitti, ma anche per le sue bellezze e i suoi profumi. La Colombia infatti “vanta il caffè migliore del mondo”, è celebre per la purezza dei suoi smeraldi e “detiene il primato per biodiversità per metro quadro”. Purtroppo però questo Paese nel lontano 1987 decise di siglare un accordo di cooperazione internazionale con le mafie, in particolare con Cosa Nostra, per il business della droga. Da allora “c’è un ponte tra Calabria e Colombia lastricato di cocaina e denaro” che fu scoperto per la prima volta proprio dal magistrato Giovanni Falcone. Un losco giro d’affari, in cui rientra anche il nome leggendario di Pablo Escobar, che spesso con la complicità di istituzioni politiche corrotte, miete le sue vittime soprattutto tra i più giovani, per i quali “essere arruolati come sicari dai narcotrafficanti è una promozione sociale”. E così “sono 10.652 i minori di 18 anni assassinati dal 2006”. In una società che vive una costante tensione tra le forze armate rivoluzionarie (Farc) e quelle filogovernative, entrambe parimenti colpevoli di ‘crimini di lesa umanità’ rispetto alla dignità della persona, “la repressione non risolve il problema. Occorre dare una speranza di vita migliore ai campesinos delle zone depresse del Paese che non vedono alternative alle coltivazioni illecite e alla dipendenza dai gruppi armati illegali, promuovendo lo sviluppo integrale e cambiando la mentalità della gente”.
Nonostante il contesto sociale continui a essere difficile ‒ basti pensare che rimane “il terzo paese più diseguale del mondo, dove lo 0,4% dei proprietari possiede il 64% della terra” ‒ non sono mancati negli ultimi tempi alcuni coraggiosi segni di speranza. Nel 2016 il presidente Santos è stato insignito del Nobel per la Pace per l’apertura democratica che avrebbe favorito; padre Franzoi ha lanciato un’iniziativa condensata nello slogan: “No alla coca, sì al cacao”; ma è soprattutto l’impegno costante dell’antimafia sociale, il contributo dell’associazione Libera e di tanti difensori dei diritti umani, frequentemente martiri per la giustizia sociale, a dimostrare tuttora che un’altra Colombia è possibile.