“Nella tradizione cristiana le reliquie esercitano la loro potenza di rassicurazione, incoraggiamento e protezione. Il corpo è condizione reale dell’incontro con Dio perché è proprio attraverso il corpo di Gesù che si entra nel Mistero. La devozione verso le reliquie diventa un modo con cui la nostra fede riconosce nella storia, nel vissuto, nel soffrire, nel morire di alcuni fratelli i segni di un martirio che può incoraggiarci a sopportare il nostro martirio. Le reliquie ci dicono che ognuno di noi può essere santo conservando la fede attraverso una grande tribolazione”. Con queste parole Mons. Mario Delpini, Arcivescovo di Milano, ha sottolineato l’importanza del culto delle reliquie, talvolta liquidato come un retaggio del passato legato a vacue forme di superstizione.
Eppure la venerazione delle reliquie consente alla fede di non scadere nel devozionalismo e di radicarsi saldamente nella carne e nel sangue dei suoi testimoni concreti di ieri e di oggi. Nel solco di tale consapevolezza si colloca la recente ricognizione scientifica delle ossa dei santi Ambrogio, Gervaso e Protaso, che ha confermato le radici storiche e spirituali della tradizione ecclesiale milanese.
Nel corso di tre mesi intensi un team di ricercatori coordinato dalla prof.ssa Cristina Cattaneo – Ordinario di Medicina Legale dell’Università Statale di Milano e direttrice del Centro LabAnOf dello stesso Ateneo – ha avuto modo di studiare diversi materiali in archivio e le fonti storiografiche, di effettuare un accurato esame antropologico dei resti di Ambrogio, Gervaso e Protaso, valutando lo stato di conservazione sia degli scheletri che del sarcofago in porfido che li ha custoditi.
Le reliquie di Ambrogio, Protaso e Gervaso sono state riscoperte nel 1864, grazie a Mons. Francesco Maria Rossi, che nel 1871 consentì l’apertura del sarcofago di porfido rosso pesante ben 2300 chilogrammi che le custodiva. Ma la loro storia è naturalmente ben più antica: nel 386 Ambrogio rinvenne i corpi di due martiri del II secolo, Gervaso e Protaso, e volle che fossero custoditi nella cripta della basilica in un’urna che di lì a poco, nel 397, avrebbe accolto anche le proprie spoglie. Relativamente alle cause della morte dei santi martiri di cui egli stesso promosse il culto, il vescovo di Milano racconta in maniera piuttosto verosimile che “tutte le ossa erano integre, molto il sangue” (Epistola 77), narra di “reliquie inviolate, ma di un capo staccato dal tronco”. In realtà è un’epistola anonima pseudo-ambrosiana della prima metà del V secolo a raccontare il martirio di Protaso e Gervaso, due fratelli probabilmente gemelli, figli del luogotenente Vitale. In tale lettera si legge in particolare che Gervaso fu colpito mortalmente da un flagello piombato, mentre Protaso venne decapitato. La loro fedeltà a Cristo fino alla morte rifulge gloriosa insieme a quella del loro padre nei mosaici della basilica ravennate dedicata proprio a quest’ultimo.
Esaminando con approfondimenti diagnostici poco invasivi gli scheletri di Ambrogio e dei due martiri, un’équipe di fisici, chimici, biologi e antropologi, ha raccolto una grande mole di dati che ne avvalora la tradizione agiografica. La costruzione di modelli digitali in 3D, l’uso delle tecniche di fluorescenza, l’impiego di raggi X e Tac e persino l’analisi del tartaro dentale, hanno permesso di far emergere infatti particolari inediti e preziosi. Sono state le monache benedettine di Orta San Giulio a occuparsi in prima persona della delicata fase di svestizione delle reliquie e del restauro dei paramenti sacri dei santi. Altre tecniche avanzate di restauro hanno consentito di sostituire i fili metallici che tenevano insieme tutte le ossa di ciascuno scheletro con dei fili di nylon decisamente meno invasivi, in modo da scongiurarne il deterioramento, al quale ha contribuito in parte anche la foratura praticata durante la precedente ricognizione al fine di mantenere lo scheletro in uno stato d’immobilità.
I risultati di tre mesi di studio e campionature sono davvero sorprendenti e attestano che i resti di Ambrogio sono quelli di un uomo di età compresa tra 54 e 64 anni, alto 1.68 cm, con una marcata asimmetria del volto, come testimoniato da uno dei primi mosaici che lo ritrae nella cappella di San Vittore in Ciel d’oro, e una frattura alla clavicola destra, probabilmente dovuta a una brutta caduta verificatasi quando era giovane, che doveva procurargli non pochi dolori nei movimenti.
L’esame degli scheletri dei due martiri Gervaso e Protaso ha rilevato invece difetti congeniti alle vertebre, tali da avvalorare la tesi della consanguineità tra i due. Inoltre entrambi risultano molto giovani, di età compresa tra i 23 e i 27 anni e alti oltre 1.80, un’altezza decisamente notevole per l’epoca. Protaso presenta inoltre segni di lesioni da taglio tra le vertebre cervicali, che alludono chiaramente alla sua decapitazione; e peculiari lesioni alle caviglie, forse da costrizione forzata; mentre lo scheletro di Gervaso mostra lesioni da difesa e fratture costali, oltre a segni sospetti di tubercolosi ancora in corso di studio.
Infine le indagini microbiologiche delle alterazioni cromatiche sulle ossa hanno rivelato che non vi è nessun attacco microbiologico in atto, per cui il loro stato di conservazione rimane sostanzialmente buono. Resta ancora da attendere il risultato degli esami genetici, che sicuramente forniranno ulteriori delucidazioni all’insegna dell’ormai indubbia convergenza delle indagini scientifiche con la tradizione agiografica.
Fonte: LaNuovaBussolaQuotidiana