“L’utero in affitto viola i diritti delle donne e dei bambini”. A pronunciare queste parole non è Papa Francesco o Donald Trump, bensì la filosofa femminista Sylviane Agacinski in un’intervista rilasciata di recente a Tempi. Moglie dell’ex primo ministro socialista Lionel Jospin e autrice di un saggio dal titolo eloquente, Corps en miettes (‘Corpi sbriciolati’), la Agacinski ha contestato lo slogan femminista ‘Bastano due genitori’ rilevando che, nel caso della maternità surrogata, “due genitori dello stesso sesso non bastano affatto per avere un figlio. C’è bisogno di una terza persona, di un corpo terzo. In California, questo corpo umano parcellizzato è diventato una risorsa biologica disponibile sul mercato”. La Agacinski non è nuova a tali esternazioni. Aveva già denunciato questa abominevole prassi nel 2015, opponendovisi anche attraverso petizioni per sensibilizzare l’opinione pubblica non solo francese al grido di “Stop surrogacy now!”. Tra i firmatari della mozione #Stopsurrogacy per rendere illegale sul piano internazionale la ‘gestazione per altri’ (gpa), è possibile rintracciare anche Michel Onfray, filosofo libertario dichiaratamente ateo, anarchico ed edonista, profondamente convinto che si tratti di “una pratica sociale ingiusta e che lede i diritti fondamentali dell’essere umano”.
Dunque a sinistra non sono tutti omologati alla dittatura del pensiero unico, non solo in Francia. In Spagna, ad esempio, si è potuto leggere esplicitamente sui corpi seminudi delle Femen: “La mia pancia non si affitta!” e in un loro tweet: “Lo sfruttamento non è un’opzione”.
In Italia le critiche all’utero in affitto sono piovute persino tra le file degli omosessualisti militanti. Daniela Danna, lesbica, ricercatrice sociologa dell’Università di Milano, autrice di diversi libri sulle coppie omosessuali ed esponente della comunità Lgbt, ha dichiarato a Famiglia Cristiana che “non è accettabile cancellare la madre biologica per legge. Le coppie gay che rivendicano il ‘diritto al figlio’ dovrebbero riflettere meglio su cosa significa questo supposto diritto per noi donne, che ne deduco avremmo il dovere di fornire bambini”. Ha poi spiegato che “non esiste una maternità surrogata ‘altruistica’, per non chiamare questo istituto giuridico con il suo nome, cioè un commercio di bambini, si finge che le donne non siano retribuite in quanto riceverebbero solo un ‘rimborso spese’”.
Una posizione critica nei confronti della pratica dell’utero in affitto, e per questo motivo ‘non allineata’ a quella main stream condivisa dall’Arcigay e dalle altre associazioni della galassia Lgbt, è costata ad ArciLesbica l’estromissione dal famigerato Cassero bolognese. “Una legge contro l’omofobia la chiediamo da anni – ha affermato il presidente nazionale Cristina Gramolini in un comunicato diffuso recentemente dall’agenzia di stampa DIRE – ma qualcuno vorrebbe utilizzarla per far passare l’autorizzazione a comprare figli all’estero, nonostante in Italia sia vietato dalla legge. Fare mercato di esseri umani e presentarla come libertà. Gran parte delle persone progressiste sono contro l’utero in affitto. Non è vero che lottare contro l’utero in affitto è di destra, è di sinistra”. D’altra parte, ha ribadito la Gramolini, “chi si sottopone alla maternità surrogata non è più titolare del proprio corpo” e spesso purtroppo drammaticamente non se ne rende neanche conto.
Le fa eco la femminista Marina Terragni che sul suo blog scrive: “Noi femministe lottiamo da tempo e a mani nude contro l’utero in affitto e, in mancanza di direttive inequivoche da parte del ministro Salvini (chiacchiere-e-distintivo), a Milano siamo andate personalmente a contrastare le trascrizioni dei due padri e la cancellazione della madre, proponendo come soluzione quella già adottata in Francia, Spagna, Svezia: la trascrizione del solo genitore biologico. Come abbiamo sempre detto: genitorialità per tutti, Gpa per nessuno”. Anche sui social l’associazione ArciLesbica non usa mezzi termini: “C’era una volta la sinistra, l’ecologia, la libertà. Oggi il mercato (dei corpi), l’inquinamento (dei corpi), il liberismo (dei corpi)”. E così con un post su Facebook condivide la petizione di change.org per chiedere alla trasmissione Piazza Pulita, andata in onda su La7 con un panegirico sull’utero in affitto, un’altra puntata ‘riparatrice’ che “dia voce anche alle voci contrarie, madri surrogate pentite comprese”. A farla da padrone sul piccolo schermo è stata infatti ancora una volta l’idea che la maternità surrogata sia “una pratica gratuita e solidale, una bella storia di amore relazionale. Eppure è noto che Vendola e il suo compagno per avere Tobia si sono rivolti all’agenzia Extraordinary Conceptions di Sacramento dove i prezzi variano tra i 130mila e i 160mila dollari. È anche un fatto che le madri surrogate firmano dei contratti in cui abdicano al diritto di decidere del proprio corpo e non possono mai cambiare idea. Viene del tutto omesso che nel mondo milioni di donne e femministe si battono per la messa al bando della maternità surrogata e che la Gpa è permessa solo in 18 paesi su 206”. In Emilia Romagna l’utero in affitto è stato il pomo della discordia persino nell’agone politico, a causa di un emendamento presentato da Giuseppe Paruolo e da Giuseppe Boschini e firmato da circa un terzo dei consiglieri del Partito Democratico relativamente a un disegno di legge in discussione sull’omotransnegatività. In esso la maternità surrogata è stata accostata a buon diritto alle altre forme di “sfruttamento e violazione della dignità della persona, con particolare riferimento a violenza sessuale, abuso di minori e sfruttamento della prostituzione, stalking”.
L’ingiustizia morale perpetrata da tale pratica è stata rilevata con dovizia di argomenti, pur da una prospettiva filosofica filomarxista, anche da Diego Fusaro. Nel suo corposo saggio Il nuovo ordine erotico. Elogio dell’amore e della famiglia ha osservato: “L’ipocrisia del pensiero unico e l’astuzia della neolingua hanno scelto di chiamarla, con discrezione, ‘maternità surrogata’: e questo nel tentativo di occultare la mercificazione dell’umano – del corpo della donna e del nascituro ridotto ad articolo di commercio – come essenza di questa e di simili pratiche salutate come emancipative e progressiste” scelte da “oltreuomini di illimitata volontà di potenza consumistica”, segno manifesto di “una deeticizzazione in atto” che vanta “conquiste di una liberazione tali solo per il capitale e per i suoi agenti”. Di qui la sua denuncia di un pensiero ‘eroticamente corretto’ che “confuta l’antico adagio secondo cui mater semper certa est”, nella misura in cui considera “il diritto del nascituro, alla stregua di un oggetto senza dignità, mero articolo di commercio e semplice prodotto del capriccio dell’individuo adulto”. Tale mercificazione senza scrupoli della dignità di una madre, spesso indigente, con la conseguente negazione del diritto del figlio ad avere una mamma e un papà in forza della pretesa dei suoi pseudo-genitori, si rivela quale ultima frontiera del ‘nar-cinismo’ contemporaneo, della tendenza narcisistica propria di chi ama l’altro come proiezione di sé e, per gratificare ancor di più il proprio ego smodato, è disposto a compiere la scelta più cinica e spietata che un uomo possa decidere, quella di strappare un figlio dalle braccia della madre che l’ha portato in grembo e partorito.
Fonte: Il Timone (maggio 2019)