“Sono una povera suora che fu pesantemente handicappata e invalidata. Mi trovavo fuori dalla barca della vita e messa da parte. Ma poi sono stata miracolosamente sanata”. Inizia così a raccontare la propria storia redatta insieme a Jean-Marie Guénois, la suora francese Bernadette Moriau ne La mia vita è un miracolo (San Paolo 2019, pp. 239). C’è lucida consapevolezza e profonda gratitudine a Dio nelle parole e nell’animo di questa suora mentre ripercorre le tappe della propria vita fino alla prodigiosa guarigione dalla cosiddetta ‘sindrome della cauda equina’ al ritorno da Lourdes. Tale guarigione costituisce il settantesimo miracolo ‘certificato’ operato dall’Immacolata presso la grotta di Massabielle su circa 6400 dossier di guarigioni inspiegabili aperti presso il Bureau des Constatations Médicales della città pirenaica.
Ella confessa di non aver mai chiesto la propria guarigione e di aver piuttosto pregato per quella degli altri. Eppure proprio a lei, una suora francescana Oblata del Sacro Cuore di Gesù, un’infermiera ormai anziana, ciò che era insperato si è realizzato. Bernadette nel 2008 ha 69 anni e vive paralizzata da 42, “il piede sinistro era in una stabile posizione di inversione quasi completa. La schiena, la colonna vertebrale, il bacino erano ridotti in poltiglia. Erano sostenuti da un rigido busto cervico-toracico-lombo-sacrale che però non mi impediva di soffrire”. Sedata dalla morfina quando il dolore diventava insostenibile, nel viaggio di ritorno dal suo pellegrinaggio, suor Bernadette prega, soffre e offre le sue sofferenze per i malati che ha visto a Lourdes anche in condizioni peggiori della sua. Non si lamenta, nella consapevolezza “che il mio stato di religiosa è per loro, per tutti gli altri, non per me. Ho offerto la vita, che Dio mi ha donato, a Lui e agli altri. Se la mia salute non mi permette più di aiutarli – io ero infermiera – posso almeno pregare per loro a tempo pieno: per la loro guarigione, per il loro benessere”.
Suor Bernadette è stata già diverse nel luogo delle apparizioni, anche se vi mancava dal 1985. Spronata dal proprio medico curante, mediante il quale era Dio stesso a chiamarla, aveva deciso di farvi ritorno bagnandosi anche nelle sue piscine, “nell’acqua della Resurrezione di Gesù”. Poi, durante la benedizione eucaristica al termine della processione nel sacro perimetro del santuario, ode dall’Ostia Santa il Maestro che le sussurra al cuore: “Vedo la tua sofferenza e quella dei tuoi fratelli e sorelle malati. Dammi tutto”. Rientrata in convento, dopo tre giorni di cui scrive: “Le mie ossa urlano, la mia anima canta”, percepisce sensibilmente quell’ ‘oceano di pace’ che è un grande dono di grazia per molti pellegrini.
L’acqua delle piscine e il fuoco dell’amore eucaristico sono “i segni dell’inizio di una vita nuova”. Alle 17.45 dell’11 luglio è ai piedi di Gesù Eucaristica durante l’adorazione nella cappella del suo convento di Bresles. Improvvisamente avverte un calore interiore e, rientrata in camera, una voce che la invita: “Togliti gli apparecchi”. Il suo corpo ritorna inspiegabilmente perfettamente in salute, il piede non più torto, il dolore completamente svanito e la gioia incontenibile. Eppure, come spesso accade in questi eventi straordinari, è tenuta a custodire il silenzio e la segretezza ed è chiamata a raccontare principalmente nelle sedi opportune quanto le è capitato. Di qui ritorna come paziente negli studi dei dottori che l’avevano avuta in cura sino ad allora; compare con la propria cartella clinica dinanzi a medici che non la conoscono e si presenta innanzi a commissioni schierate di teologi e monsignori che hanno necessità di esaminare il suo ‘caso’.
Nel volume c’è ampio spazio per la narrazione di un’odissea durata ben dieci anni, vissuta in obbedienza alla volontà di Dio e della sua Chiesa, perché sia riconosciuta la straordinarietà della sua guarigione, a beneficio di tutto il popolo di Dio. Essa è stata infatti certificata dall’esame accurato di circa 300 medici, mentre il miracolo è stato appurato da una commissione teologica appositamente costituita.
La nuova vita di suor Bernadette dopo il grande dono ricevuto è consistita nell’ “accettare di uscire dalla riservatezza per essere disponibile a raccontare le meraviglie di Dio senza appartenersi più”. D’altra parte, per la suora francese, il miracolo ricevuto è un “piccolo germoglio di grazia”, nella consapevolezza che “se il Signore ha voluto fare di me un ‘segno’ è per manifestare la Sua gloria, non la mia”. Perciò, una volta recuperata la salute fisica, ella non si è tirata indietro dinanzi alla responsabilità di tale compito, anzi “si è rimessa al servizio della sua comunità, della sua parrocchia, dell’Ospitalità e dei malati di Lourdes”, a testimonianza del fatto che – come ha rilevato opportunamente il vescovo di Beauvais Jacques Benoît-Gonnin – “una vita ritrovata è una vita feconda nel dono di sé”.ù
Fonte: LaNuovaBussolaQuotidiana