“La guarigione inizia da una parola udita e deve finire con una parola detta. Se voglio guarire è il mio amore che deve guarire. La guarigione più profonda è la guarigione del mio affetto. Infatti io sono me stesso fino in fondo solo se amo di un amore sano, autentico. Solo l’amore vero dà la felicità vera”. È questo il cuore dell’ultimo libro di don Fabio Rosini.
Dopo L’arte di ricominciare sul discernimento spirituale, ne L’arte di guarire (San Paolo 2020, pp. 336) don Fabio Rosini – Direttore del Servizio per le Vocazioni della Diocesi di Roma e ideatore del percorso sul Decalogo e sui conseguenti Sette Segni del Vangelo di Giovanni – delinea un itinerario spirituale per la propria guarigione interiore, ponendosi con la propria testimonianza di vita accanto al suo lettore.
Diagnosi, terapia e guarigione sono le tappe da attraversare in cammino verso una vita sana, per la quale occorre il ‘tocco’ della grazia di Cristo. Per questo motivo è l’emorroissa del Vangelo di Marco (Mc 5) la figura paradigmatica che accompagna il lettore in tale cammino di purificazione interiore, per togliersi “lo scafandro del ‘buon cristiano’” e recuperare un rapporto autentico a “‘tu per tu’, ‘faccia a faccia’ e ‘occhi negli occhi’”con un Tu che guarisce, restituisce a se stessi e libera.
Si tratta innanzitutto “di chiamare per nome i molti vuoti che portiamo dentro senza scoraggiarsi”, per uscire da “una tranquillità da paese dei balocchi esistenziale, imboccare la via della libertà e non lasciarla più”. Per cui, dopo aver suggerito al lettore di armarsi per questo viaggio “con tutta la pacatezza di cui si è dotati, tutta la pazienza possibile con sé stessi e qualcuno più esperto di noi nella fede a cui appoggiarsi nelle difficoltà”, don Fabio lo invita a mettersi realmente in tale cammino di conversione rispondendo personalmente, compiendo ogni passo in ascolto dello Spirito Santo, alle diverse ‘provocazioni’ che egli gradualmente suggerisce, perché “ci vuole tutta l’eternità di Dio per guarire il mio cuore”.
Il primo passo consiste nell’imparare a riconoscere i propri sintomi, nella consapevolezza che i sintomi non sono il male. Certo “non bisogna dunque né banalizzare né assolutizzare i sintomi”, ma ricercarne la causa, senza essere né troppo indulgenti né eccessivamente rigorosi con se stessi, laddove “la nostra è un’epoca anestetica, palliativa, onirica. Siamo nel tempo dell’industria del divertimento e della sedazione e ci serviamo di raffinati strumenti di narcosi”. Insomma si tratta di scoprire cosa si nasconde dietro “la vergogna, la mancanza di libertà, la chiusura, la possessività, la timidezza, le dipendenze, i cuori freddi, l’ansia di sedurre, le aggressività e le balbuzie affettive di ogni genere”. Sicuramente ciò che si oppone all’amore è la paura, “quel flagello che pulsa interiormente e storce gli atteggiamenti, rende aggressivi o remissivi, impone rassicurazioni, compensazioni, detta i tempi delle compulsioni, spegne o ferisce l’amore nel nostro cuore”. Infatti dietro il desiderio di piacere a tutti i costi si cela la “paura di non avere importanza. E per questo attacco a straparlare, manipolo i racconti, faccio il maschio-alfa, entro in competizione, denigro gli altri, scimmiotto i sentimenti, mi pavoneggio con i miei successi e le mie abilità, oppure patisco i caratteri forti, ho terrore delle umiliazioni, mi svendo per non essere escluso, mi faccio compatire”. Allo stesso modo, dietro il “darsi continue compensazioni” cadendo nelle dipendenze, c’è “la paura di soffrire, per cui “mostrifico ogni possibile rischio. Esorcizzo il dolore cercando il piacere e mi fisso sulle cose con avidità, imbarcandomi in troppe cose. Probabilmente anche per questa paura faccio un’epopea dei miei dolori e non dimentico i torti subiti”. Insomma dietro ogni vizio capitale c’è una paura da riconoscere. Ma la radice di ogni paura rimane il disprezzo di sé, “un pensiero cattivo su se stessi, un seme di auto-sabotaggio nel nostro sistema operativo, un pensiero nero di delusione su noi stessi”.
“Io non ho paura dei problemi della gente, io ho paura delle soluzioni della gente”, scrive ancora Rosini, alludendo alle diverse forme di compensazioni che schiavizzano l’uomo, al desiderio di potere che lo asserve al compromesso o ai progetti di autorealizzazione; a tutte quelle illusioni che danno soddisfazione a “una tecnica tipica del Maligno: far apparire un bene ipotetico in nome del quale compromettere un bene reale che al momento appare secondario”. Agendo in questo modo, però, “perdo l’opportunità preziosa di imparare a stare dove la vita mi mette”. Perciò occorre anche un po’ di santa ira verso i propri errori, per cominciare a smettere di sacrificare ai propri idoli la propria capacità di amare, in quanto “non si esce mai da un male senza dirgli di no”.
Allora “non c’è da chiedersi se siamo amati ma da lasciarsi amare e da accettare di essere amati tanto poveri” lasciandosi guidare dallo Spirito, che “ha il potere di visitare ogni storia e renderla gravida di Cristo”. Di qui “la Croce di Cristo è la verità che contesta le letture amare della vita che ci portiamo dentro, e sta lì, mitemente, umilmente, pazientemente a dire ad ogni uomo: Calmati, la vita non è difendersi, la vita è amare”. E Gesù ha scelto di farlo, non “prendendomi la manina e portandomi per la retta via perché io la mano non me la lascio prendere, non mi fido, non mi lascio andare, ma permettendo che l’onda di tutto il male che io ho dentro, l’onda di tutta l’invidia, l’ira, l’accidia, l’avarizia, la lussuria, la gola, la superbia che porto in me, arrivassero addosso a Lui, si scatenassero sul suo corpo”. Non bisogna assolutamente dimenticare che ciascuno, qualunque sia il suo peccato, “vale il sangue di Cristo”, perciò è così prezioso agli occhi del Padre.
E “Dio sa fare anche della nostra povertà una strada per incontrarci”. Per incontrare il suo Figlio vivo e vero, “toccare i suoi sentimenti nei nostri confronti”, ci sono infatti la Chiesa, la Parola, i sacramenti, le opere di misericordia spirituali e corporali. Di qui occorre saper far memoria e raccontare come Dio mi ha salvato, ossia “entrare nella lettura riconoscente della nostra vita”, imparare l’arte della gratitudine al Padre per ogni bene, grazia e anche dolore ricevuto: è questo in effetti il principio di un’autentica guarigione del cuore e il segreto per custodire la pace interiore per una vita veramente ‘sana’ perché santa.
Fonte: LaNuovaBussolaQuotidiana