Paura, affettività e amore, dipendenze, paternità e Gesù “che piace a me”. Sono questi i temi dei “Cinque passi al Mistero” raccolti da padre Maurizio Botta nel recente volume Il freddo dentro (San Paolo, 2020, pp. 183). Si tratta di un «libro necessario, che bisogna avere in casa per forza»; «un libro profondamente imbevuto di fede ma che parte dal punto di vista di chi alle domande si mette davanti da uomo, prima che da uomo di fede», scrive Costanza Miriano nella prefazione. Il volume riporta fedelmente le catechesi di un giovane sacerdote oratoriano «che profuma di Cristo» – per dirla ancora con le parole della Miriano -, di un educatore di tanti giovani nel solco del carisma del “Pippo buono”, san Filippo Neri, le cui «intuizioni non basta ascoltarle una volta sola. Bisogna fermarci sopra il cuore. Leggere e rileggere».
Il “primo passo” è dedicato alla paura. Stando ai risultati di Google, «nella speciale classifica delle paure, conquista il podio la paura della morte, seguita dalla solitudine, dalla paura della gente e dalla paura della paura». Seguono ancora quella di essere incinta, di essere traditi e di amare e, addirittura, di vivere. Insomma «le nostre paure hanno un volto, sono fatte di carne e ossa, anche se magari non osiamo ammetterlo». In relazione alla paura di sbagliare, molto diffusa non solo tra i più giovani, Padre Maurizio esclama con veemenza: «Basta con il terrore dell’errore, con questo essere sempre frenati, tremebondi, divorati, paralizzati dalla paura!». Al contrario, la nostra vita è basata sulla fiducia, «la fiducia nell’amico che ti consiglia un posto dove si mangia bene, che ti invita a leggere un libro, ad ascoltare una canzone». Inoltre, non è un caso che nella Bibbia l’invito a “Non aver paura” ricorra 365 volte. E in effetti «la paura muore se c’è un Tu»; come è stato per il Figlio nella consegna fiduciosa di sé al Padre sulla croce. Di qui è vinta la paura della morte e quella della malattia che, pur rimanendo tale, «assume sembianze diverse perché hai vicino qualcuno che ti aiuta a vivere e sopportare il dolore e l’ansia». Insomma «ammettere e riconoscere le proprie paure e avere anche il coraggio di raccontarle è essere persone veramente forti».
Relativamente ad affettività e amore – oggetto del secondo passo -, padre Maurizio ripropone la bellezza impopolare dell’amor cortese rispetto ai sentimentalismi dei fuochi fatui di oggi, perché in fondo «ogni donna vuole essere guardata negli occhi in modo unico e irripetibile, vuole sentire intimamente di essere stata scelta tra mille. “Io ho scelto te, ho combattuto per te, ti sono rimasto accanto e continuo a sceglierti veramente”: questo è quello che ogni donna sogna di sentirsi dire». Anche rispetto all’ipersessualizzazione attuale, il sacerdote oratoriano non usa mezzi termini: «Il consumo sessuale “usa e getta” sta mangiando il cuore dei ragazzi. È un po’ come per i quadri: se ti posizioni a due soli centimetri da essi, non ne godrai appieno la bellezza. È una questione di distanza: serve la giusta distanza per apprezzare la bellezza, così come l’amore». In tale prospettiva assume un senso profondo anche la castità, che «diventa un’occasione per vivere all’altezza del proprio desiderio», perché «l’amore fisico è un amore orientato: biologicamente e scientificamente ha una direzione, una tensione, un fine». Si tratta allora – prosegue il sacerdote oratoriano – «di corrispondere alla grazia, di immergere i nostri innamoramenti dentro il fuoco incandescente della passione, dell’Amore di Cristo, per poter vivere rapporti e relazioni completamente diversi».
Il terzo passo è dedicato alla tendenza diffusa di costruirsi un Gesù à la carte, dove «come in un ristorante, di Gesù scegli quello che ti piace e lasci quello che proprio non mandi giù», ossia quella consapevolezza che «sei solo un povero peccatore, bisognoso della grazia e del sacrificio di Cristo per poter vivere». Insomma «per avere il Gesù pieno, il vero Gesù, bisogna armonizzare e tenere insieme in modo maturo tutte le Sue parole, proprio tutte».
Per quanto concerne il rapporto tra libertà e dipendenza, nella classifica di Google c’è al primo posto la dipendenza affettiva, poi quella da Internet. E in effetti «siamo tutti piccoli re circondati da una corte di plastica, da prendere a nostro piacimento per riempire i vuoti, da consumare in ogni momento e poi buttare». Così «fuggiamo in paradisi artificiali che sono sempre gli stessi, sempre identici a sé stessi». Allora si tratta di sostituire «le alienazioni di una vita semplicemente noiosa o le dipendenze mortali di una grande sofferenza con una dipendenza vitale divina».
Sulla paternità, oggetto del quinto passo, il sacerdote oratoriano ricorda, riprendendo la figura dell’eroe omerico Ettore, che «un padre ‘eleva’ ed è un gesto in cui riconosce il dono della paternità; ‘benedice’, fa un augurio, una parola benedicente sul figlio, ed è un gesto rituale molto forte; e poi ‘inizia’ perché da sempre è stato colui che inizia alla vita sociale». Allo stesso modo san Giuseppe protegge fisicamente la vita di Gesù e lo presenta al Tempio per la circoncisione: «l’iniziazione di Gesù avviene per mezzo di Giuseppe; Gesù entra nel mondo sociale e pubblico attraverso Suo padre e anche quando ormai è grande sarà il “figlio del carpentiere”». Nella società odierna purtroppo queste tappe sono state bruciate, per cui «non c’è più nessuna differenza tra figli e genitori perché troppi uomini sono solo maschi e non diventano mai padri». E invece, sul modello del custode della Santa Famiglia, «la paternità è frutto di una scelta intenzionale che richiede impegno, cura, decisione».