La sfera e la croce, due simboli per due visioni della realtà e della vita umana inconciliabili, che si sfidano in cielo e sulla terra. «Questa palla è ragionevole; quella croce è irragionevole. È una bestia a quattro zampe, una delle quali è più lunga delle altre. Il globo è logico. La croce è arbitraria. Prima di tutto, il globo è unità in se stesso; la croce è, essenzialmente e soprattutto, nemica di se stessa. La croce è il conflitto di due linee nemiche, di due direzioni inconciliabili. Questa cosa muta che si innalza è un contrasto, una rottura violenta, una lotta nella pietra. Ne abbiamo abbastanza di questo simbolo. La stessa sua forma è una contraddizione in termini».
Sono queste le parole pronunciate da Lucifero, nome curioso per un professore, nel dialogo con un monaco che non a caso si chiama Michele, nel romanzo La Sfera e la Croce (pp. 256, 2021) di Chesterton, ripubblicato in una nuova veste editoriale dalla Società Chestertoniana Italiana, la casa Editrice Leardini e il Centro Missionario Francescano.
«Si tratta di un racconto distopico, una versione romanzata del suo precedente Eretici e una profezia dei nostri giorni», come rileva Marco Sermarini, presidente della Società Chestertoniana Italiana. I primi capitoli del romanzo uscirono a puntate, tra il marzo 1905 e il novembre 1906, sul periodico Commonwealth. Poi Chesterton ripose il progetto nel cassetto per ripubblicarlo integralmente nel 1910. A tal proposito «non escluderei che Ray Bradbury abbia preso spunto anche da quest’opera quando scrisse Fahrenheit 451. D’altronde si proclamò sempre devoto ammiratore del Nostro Eroe. Quasi negli stessi anni un altro ammiratore di G.K.C., Robert Hugh Benson, partoriva il suo ben noto romanzo distopico Il Padrone del mondo», osserva ancora acutamente Sermarini.
Da una parte c’è una ragione che si apre alla fede, dall’altra una fiducia razionalista cieca nel progresso che esclude ogni fede nelle verità rivelate. E in effetti san Giovanni Paolo I, nel capitolo dedicato a Chesterton del suo Illustrissimi, ha sottolineato mirabilmente proprio tale aspetto: «Il progresso con uomini che si amino, ritenendosi fratelli e figli dell’unico Padre Dio, può essere una cosa magnifica. Il progresso con uomini che non riconoscono in Dio un unico Padre, diventa un pericolo continuo: senza un parallelo processo morale, interiore e personale, esso – quel progresso – sviluppa, infatti, i più selvaggi fondacci dell’uomo».
Nel prologo un vascello volante sorvola la cattedrale di St. Paul a Londra. Agli occhi del professor Lucifero non è pensabile che la croce sovrasti la sfera, perciò tuona con superbia al suo interlocutore: «È un errore evidente. La sfera dovrebbe essere sopra la croce. Questa non è che un supporto barbarico; la sfera è la perfezione. La croce è tutt’al più l’albero amaro della storia dell’uomo; la sfera è il tondo frutto maturo finale. E il frutto sta in cima all’albero; non alla sua base». Tuttavia le ideologie della storia testimoniano, con ironia tragica, l’esatto contrario, e cioè che tali filosofie razionalistiche, cui allude la sfera, «comincino con l’infrangere la Croce, ma finiscano per distruggere il mondo abitabile». La fede autentica è, invece, passione antica e sempre nuova per tutto ciò esiste: «lo sguardo di Michele godeva di tutto ciò che incontrava, e non per una soddisfazione estetica, ma con la pura e gioconda avidità del bimbo che morde una ciambella».
La guerra nei cieli tra il professor Lucifero e il monaco Michele continua sulla terra nella lite sfociata in un duello a fil di spada e argomentazioni tra il signor MacIan – un uomo di fede «più certo dell’esistenza di Dio che della propria» che desidera «vendicare Nostra Signora sul Suo miserabile calunniatore» a tutti i costi – e Turnbull, suo antagonista in quanto ‘libero pensatore’ e ateo miscredente.
Di qui, quando la discussione si accende, MacIan argomenta acutamente che «il cristianesimo è sempre fuori di moda perché è sano di mente; e tutte le mode sono lievemente insane». Perciò «la Chiesa pare sempre indietro rispetto ai tempi, mentre in realtà precorre i tempi: aspetta che l’ultima follia abbia visto il suo ultimo tramonto e conserva le chiavi di una virtù permanente». E in effetti «la Croce non può conoscere la sconfitta perché è la Sconfitta», come ribadisce MacIan, il quale desidera battersi in nome di questa per difendere il motivo della sua stessa esistenza, nella consapevolezza che «più alto dei cieli, c’è qualche cosa di più umano dell’umanità».
Perciò egli ricorda ancora al suo interlocutore che «l’uomo in strada considera se stesso come io onnipotente pur sapendo di non esserlo. Si aspetta che l’universo intero giri intorno a lui, pur sapendo di non esserne il centro». Il romanzo segue le peripezie dei due protagonisti che finiscono come ‘folli’ persino in manicomio per le loro posizioni, muovendosi sempre sull’orlo del ‘paradosso’ così caro allo scrittore britannico.
Così nel Dies irae, nel giorno del giudizio finale, Turnbull che, «fino a quel momento, aveva avuto in perfetta buona fede la certezza che il materialismo fosse un fatto», riconosce che c’è un Fatto dinanzi al quale crolla ogni costruzione ideologica del mondo, la Rivelazione del Verbo di Dio, che può essere riconosciuto da colui che si pone con cuore libero e umile dinanzi alla realtà. Di qui anche Turnbull piega le proprie ginocchia in segno di adorazione, mentre le spade dei contendenti cadono definitivamente l’una sull’altra a mo’ di croce per ricordare che il mondo non può reggersi senza la croce.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana