Uno sguardo contemplativo ai misteri della vita di Cristo. È questa la prospettiva adottata da San Tommaso d’Aquino nella sua Summa Theologiae; egli non mette in discussione quanto affermato e compiuto dal Figlio, lo dà in qualche modo per scontato, mentre si interroga sempre con una ragione illuminata dalla fede sulla convenienza di tali accadimenti nella prospettiva del disegno salvifico del Padre.
Questo sguardo viene ora ulteriormente illuminato dal recente saggio La vita di Cristo secondo San Tommaso d’Aquino (Fede e Cultura 2021, pp. 144) di Mauro Gagliardi, presbitero dell’Arcidiocesi di Salerno, ordinario di teologia all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e professore invitato Ateneo Pontificio San Tommaso d’Aquino (Angelicum) di Roma. Si tratta del secondo volume di «un piccolo trittico dedicato rispettivamente alla Persona di Gesù Cristo (cristologia), alla sua vita terrena (misteri cristologici) e alla salvezza da Lui donata (soteriologia), secondo la dottrina di san Tommaso d’Aquino».
Nella Terza Parte della Summa Theologiae, infatti, l’Aquinate si occupa dei misteri cristologici, ripercorrendo gli eventi più importanti dell’esistenza terrena di Gesù. Con un linguaggio divulgativo e chiaro, accessibile anche ai non esperti del linguaggio filosofico e teologico dell’Angelico Dottore, Mauro Gagliardi presenta le questioni dalla 27 alla 45 della stessa sezione, incentrate proprio sugli acta Christi, ossia sui grandi eventi che vanno dal concepimento sino alla trasfigurazione del Signore, in continuità dunque con il volume precedente La persona di Cristo secondo san Tommaso d’Aquino che ne riprendeva le questioni 1-26 e in attesa di quello conclusivo sul mistero pasquale e il compimento dell’opera della nostra redenzione di prossima pubblicazione.
Sebbene nella Summa si ritrovino alcune concezioni scientifiche oggi superate, tra le quali «nozioni biologiche quanto all’origine di Cristo da Maria, e cosmologiche riguardo ai miracoli; in nessun caso, però, il condizionamento è tale da invalidare la riflessione teologica». Inoltre, per quanto la trattazione tommasiana privilegi «l’ottica esemplare e redentiva per noi uomini, l’idea di una qualche efficacia per Cristo stesso non è esclusa», ossia la prospettiva del ‘Cristo per noi’ è integrata costantemente con quella del ‘Cristo per se stesso’, dal momento che «l’umanità di Cristo crebbe fino al perfezionamento nella gloria», come la stessa Trasfigurazione attesta.
Relativamente a Maria, intendendo la «santificazione come purificazione dal peccato originale», la quale è «opera di grazia e la grazia è data alla creatura razionale», Tommaso sostiene erroneamente che «la Beata Vergine contrasse il peccato originale, ma ne fu mondata prima di uscire dal seno materno». Su questo punto, però, si può evidenziare a sua ‘discolpa’ come fa l’autore, che l’Aquinate non poteva esser stato istruito dal Magistero solenne dal dogma dell’Immacolata Concezione, per il quale «in Lei la salvezza del Figlio ha agito in modo preventivo, non purificando il peccato contratto, bensì impedendo che Maria ne fosse macchiata». Nonostante tale errore teologico, Tommaso riconosce però altresì che «Maria fu predestinata a essere vicinissima all’Autore della grazia, accogliendo in sé Colui che era pieno di grazia. Per questo anche di Lei si dice che è piena di grazia».
Riguardo alla santificazione di Cristo, Tommaso specifica invece che «fu santificato al concepimento, ossia divenne perfettamente santo in quel momento, non perché prima Egli fosse peccatore, ma semplicemente perché, in quanto uomo, non esisteva prima di essere concepito. Mancava, in altre parole, quella natura umana individuale che potesse ricevere la santificazione». E sulla natura umana e divina del Verbo incarnato, l’Aquinate sottolinea che «dato che in Cristo vi sono due nature – una ricevuta eternamente dal Padre, l’altra ricevuta nel tempo dalla Madre – è necessario attribuire a Cristo anche una nascita nel tempo, oltre alla nascita ab aeterno. Quando diciamo che il Verbo nasce nel tempo, con ciò non intendiamo dire che Egli prima non esistesse in alcun modo, dato che già esisteva, da sempre, per l’eterna nascita dal Padre». Dunque, rispetto alla nascita di Gesù a Betlemme, il Dottore Angelico precisa che «se Cristo si fosse manifestato da sé, avrebbe indicato la potenza della sua divinità, ma pregiudicato la fede nella propria umanità. Per questo preferì non far conoscere direttamente la sua nascita, bensì per mezzo di creature: ai pastori mediante angeli e ai magi per mezzo di una stella».
Tommaso ricorda in proposito che i Magi e Simeone e Anna sono rispettivamente anche figure dei pagani e degli ebrei, e dunque dell’universalismo della salvezza. Soffermandosi sul significato del battesimo di Cristo l’Aquinate cita invece Sant’Ambrogio, il quale scrive che «la giustizia è questa: che tu faccia per primo ciò che pretendi facciano gli altri, stimolandoli con il tuo esempio».
Relativamente alle tentazioni nel deserto che precedono l’inizio della vita pubblica di Gesù, il Dottore Angelico sottolinea l’importanza del digiuno quale strumento che allude all’esigenza per tutti «di premunirsi contro le tentazioni», poiché «il diavolo attacca tutti quelli che fanno il bene». L’Aquinate rileva ancora che il Signore ha resistito «non con la forza del proprio potere divino, ma con testi di legge» e ciò, per dirla con San Leone Magno, «per onorare maggiormente l’uomo e punire maggiormente l’avversario, in quanto il nemico del genere umano veniva vinto da Cristo non come Dio, ma come uomo». Solo con la terza tentazione Gesù scaccia il diavolo, poiché attenta all’onore del Padre, «affinché imparassimo dal suo esempio a sopportare con animo forte le ingiurie rivolte a noi, ma a non tollerare quelle contro Dio».
I motivi per cui il Signore opera miracoli durante la sua predicazione vengono così approfonditi da Tommaso: «Il primo e principale è perché in questo modo Dio conferma la dottrina di fede insegnata da quell’uomo. Infatti le verità di fede superano le capacità della ragione e quindi non possono essere da questa dimostrate, potendo essere provate solo in base alla potenza di Dio. Così, se un uomo compie opere miracolose, che solo Dio può fare, si potrà credere anche all’origine divina della sua dottrina. In secondo luogo, mediante i miracoli Dio mostra la santità di un uomo, ossia il fatto che Egli abita in lui mediante la grazia».
Infine, relativamente alla Trasfigurazione, Tommaso evidenzia che «lo splendore visto sul Tabor è per natura lo stesso che i corpi hanno in cielo, ma la maniera in cui questa claritas è posseduta dai corpi in cielo è diversa da come la possedette il corpo di Cristo alla trasfigurazione». D’altra parte, conclude l’Angelico Dottore, «scopo della trasfigurazione fu mostrare agli uomini la gloria di Cristo e stimolarli a desiderarla».
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana