«Tutto il bene per l’uomo è conoscere e amore il suo Creatore», scrive San Bernardo. Perciò «la contemplazione non è un ‘giardino chiuso’, riservato a pochi iniziati, ma è il destino di ogni uomo che deve e può tendere all’unione con Dio, usando dei mezzi che Egli ci ha messi a disposizione in Gesù Cristo», come afferma il certosino Poisson nella premessa di Alla scuola del silenzio (Rubbettino, pp. 534), una corposa antologia di brani di autori monastici sulla contemplazione del mistero d’amore di Dio.
Salendo «la scala dei monaci, mediante la quale essi sono sollevati dalla terra al cielo, ossia lettura, meditazione, preghiera, contemplazione» – per dirla con Guigo II, priore della Certosa di Grenoble della fine del XII secolo – il lettore contemporaneo può percorrere un proprio ‘itinerarium mentis in Deum’, dal momento che i brani proposti sono poi suddivisi proficuamente per ordine tematico.
Purificazione del cuore e umiltà sono le vie maestre per rimuovere l’ostacolo del peccato e favorire un graduale e fiducioso abbandono dell’anima alla volontà divina. Da San Bruno di Colonia a Guigo II; da Marguerite d’Oyngt a Nicolò Albergati; da Dionigi, Lanspergio e Le Masson a Pollien, Simoni e Guillerand sono in tanti a diffondere il carisma plurisecolare della spiritualità certosina.
I monaci ruminano costantemente la Parola di Dio. Lo evidenzia bene Guigo II nella sua Lettera sulla vita contemplativa, in cui sostiene che «la lettura cerca la dolcezza della vita beata, la meditazione la trova, la preghiera la chiede, la contemplazione la gusta».
«Facile è la strada verso Dio perché si percorre liberandosi dai pesi», scrive Guigo. Si tratta di imparare a corrispondere generosamente a «quell’amore con cui fummo amati prima che fossimo che è la causa di tutti i nostri beni», come prosegue lo stesso priore di Certosa. Pollien, monaco certosino morto nel 1931, rileva invece che «Dio ci porta fra le sue braccia e l’amorosa tenerezza della Sua volontà è interamente dedicata alla mia santificazione. Egli non si accontenta di volere la mia santificazione, ma la compie» in forza della sua azione incessante d’amore. Allo stesso modo Guillerand assimila la carità divina a un sole, la cui luce «brilla, riscalda e feconda», per cui «non abbiamo che da aprire le finestre immense e si dona come un fiotto; il raggio penetra, illumina, mostra tutto sotto una luce nuova; è come un levarsi d’aurora; tutto si riveste di bellezza, tutto è ringiovanito e sembra rinascere». È l’esperienza profonda della vita spirituale quella descritta da quest’altro monaco certosino, il quale intuisce «che il Verbo di Dio, accolto da un’anima, riproduce in essa e per mezzo di essa ciò che fa nel seno del Padre e ciò che è venuto a fare tra di noi», ossia rivelare «che il fondo di tutto è l’Amore». Per custodire la grazia e la presenza dello Spirito in noi è necessario «pregare senza posa», in quanto «la vita in noi è come un fiore fragile».
Tra i rimedi per combattere la tentazione, Dionigi il Certosino raccomanda infatti la «continua e fervida preghiera a Dio per ottenere soccorso» insieme al rivolgere altrove il proprio pensiero, ossia alle realtà spirituali che giovano alla salvezza eterna, e una «frequente e devota meditazione della Passione di Gesù Cristo». Rispetto all’anelito alla conversione, Laspergio lascia parlare il Signore: «Quando cadi in qualsiasi difetto, convertiti a me senza indugio, gemi ai miei piedi e appoggiati in me; rialzati in piedi, confidando nella mia potenza. Io desidero vedere soprattutto buona volontà. Niente vale tanto quanto la buona volontà». In questo modo – lo evidenzia Porion, un certosino morto nel 1987 – «le tentazioni saranno un trampolino per elevarmi verso Dio. Metterò sempre di più le mie facoltà e tutto il mio essere a disposizione di Dio; la sua voce parlerà sempre più chiaramente in me. La fede si fortificherà, la speranza diventerà più sicura, la carità più ardente».
Sull’importanza di coltivare il silenzio, San Bruno di Colonia, fondatore dell’ordine certosino, scrive che chi ne fa esperienza «acquista quello sguardo pieno di serenità che ferisce d’amore lo Sposo celeste, quell’occhio puro e luminoso che vede Dio. Qui Dio dona ai suoi atleti, per la fatica del combattimento, la ricompensa desiderata: la pace che il mondo non conosce e la gioia dello Spirito Santo». Nel silenzio germoglia la carità e «così il fervido amor di Dio eccita la mente amante, la muove e la solleva verso Dio, assieme ai suoi pensieri ed ai suoi affetti, e solo in lui si riposa, non trovando pace e riposo altrove», come sottolinea Dionigi il Certosino.
Gabriele Fulconis, certosino dell’Ottocento, scrive di Cristo che è il «mio sposo di sangue, dal momento che quest’unione gli è costata tutto il suo sangue. Egli è mio pastore, perché non solo mi conduce e mi difende, ma mi nutre anche con la sua stessa carne e il suo sangue. Egli è mio medico, poiché si è incarnato su questa terra per guarire tutti i miei mali. Ecco come in Gesù Cristo io ho ogni cosa, per Gesù devo raggiungere ogni cosa e a Gesù devo attribuire ogni cosa». Di qui «la Passione di Cristo ci forma alla pazienza, mentre la Resurrezione ci anima alla speranza, per mostrare in noi attraverso la sua persona due vite, una faticosa a cui dobbiamo far fronte, l’altra beata che dobbiamo sperare», come rileva Ludolfo di Sassonia nel Trecento. Relativamente a Maria, san Bruno evidenzia infine con finezza poetica: «Meritò che il Signore dal cielo guardasse la terra».
Tale antologia è dunque uno scrigno di perle preziose di profonda spiritualità certosina radicata nella Parola di Dio, ruminata nel silenzio e meditata nell’ascolto sapiente dello Spirito che abita nell’anima del monaco e in quella di ogni cristiano che custodisce la grazia del Padre.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana