Roma, Piazza della Repubblica. Sono le ore 15, il cielo si è finalmente aperto dopo la pioggia battente delle ultime ore. Una folla silenziosa comincia a radunarsi, priva di colori e simboli politici, per dire sì alla vita, senza compromessi, dal concepimento alla morte naturale. Si tratta di una fiumana che si ingrossa lungo il percorso, raggiungendo le 25.000 persone. Sono uomini, donne, bambini, ma soprattutto giovani famiglie e religiosi, movimenti, associazioni laicali ed ecclesiali, tutti desiderosi di dare voce a chi non ha voce, quale è ogni bimbo nel grembo materno, il cui cuore comincia a pulsare già alla terza settimana di gravidanza, ossia prima ancora che sua madre s’accorga di essere incinta. A percorrere le vie del centro di Roma fino a Piazza Madonna di Loreto non è soltanto il volto giovane della Chiesa, ma una folla di persone di buona volontà che avanza lentamente, cantando e inneggiando alla vita, perché consapevole attraverso la ragione che la tutela del diritto alla vita è il fondamento imprescindibile di ogni società realmente civile, in quanto la vita è un bene indisponibile che nessuno può darsi da se stesso. Perciò una larga parte di tale popolo della vita ha di conseguenza anche il coraggio di pregare pubblicamente, perché riconosce con lo sguardo della fede che la propria esistenza è un dono prezioso di un Padre buono che ama tutti i suoi figli.
Numerosi i testimoni della cultura della vita che si succedono sul palco in piazza Madonna di Loreto. Tra questi l’imprenditore vicentino Roberto Brazzale, patron di un’azienda leader nella filiera lattiero-casearia, che si premura di dare un ‘baby bonus’ da 1500 euro ai suoi dipendenti per ogni nuovo nato, favorendo e non ostacolando in questo modo il congedo parentale. Così Roberto Panella, giovane che i medici avevano già dato per spacciato a seguito di un terribile incidente stradale e che si è poi risvegliato dal coma, ricorda il dovere dello Stato di provvedere sempre alle cure dei più fragili, piuttosto che preoccuparsi di garantire una morte paventata come indolore, ossia l’eutanasia. La giovane Katy racconta invece di essere figlia di una donna che rimase incinta di lei quando aveva appena 12 anni, a seguito di una violenza sessuale. Eppure se sua madre non fosse stata adeguatamente sostenuta dai volontari della comunità Papa Giovanni XXIII, avrebbe optato per l’aborto e Kay non sarebbe lì sul palco a testimoniare che solo una sovrabbondanza d’amore può lenire ferite interiori tanto profonde. Il docente di filosofia Stéphane Mercier racconta ancora la sua sospensione dall’insegnamento nell’Università Cattolica di Lovanio per avere spiegato durante un suo corso cosa sia l’aborto, ricorrendo al semplice uso della ragione. Egli ha voluto “parlare apertamente agli studenti della dignità umana” e, anche se ad oggi rischia il licenziamento, è sereno in coscienza, poiché consapevole che “nel giorno del giudizio non sarà giudicato dalle autorità accademiche”. Poi è stata la volta della special guest, Gianna Jessen, nota testimonial pro-life americana “nata da un aborto”, o meglio sopravvissuta a una cruenta pratica abortiva diffusa negli Stati Uniti per i feti di 6 mesi. Ella è però nata viva in una clinica abortista di Los Angeles il 6 aprile 1977. “Il medico che mi abortì quel giorno era assente per cui, grazie a un’infermiera, sono stata trasferita di corsa in un ospedale a 49 settimane. Pesavo soltanto 1 kg, ma per me è un dono la paralisi cerebrale. Sono viva grazie a Gesù e non mi vergogno di Lui. Come posso vergognarmi di Dio che mi ha salvato?”, ha esclamato con un sorriso pieno di commozione la Jessen.
Infine è la portavoce del Comitato della Marcia Nazionale per la Vita, la Dr.ssa Virginia Coda Nunziante, a ribadire senza mezzi termini che “nessuno si è dato la vita da sé, perciò noi non possiamo toglierla a qualcuno, non ne abbiamo il diritto. Perché la vita di ciascuno è un bene indisponibile che non appartiene neanche alla madre che l’ha in grembo”. Se da un lato la portavoce ricorda la tragicità di un genocidio silenzioso che, a livello europeo, annovera un aborto ogni 11 secondi, dall’altro esorta con forza “i governi a smettere di finanziare la cultura della morte e a dare piuttosto tali soldi alle famiglie in difficoltà per far crescere i propri figli”. Perché in fondo “una nazione che non promuove la vita è un paese che muore”, Italia compresa.