La santità è sempre originale. Non esiste santo uguale a un altro, nessuna fotocopia, poiché ciascuno è invitato da Dio a realizzare la propria originalità nel Figlio. Lo ha compreso e testimoniato Carlo Acutis con la sua giovane esistenza spesa interamente nell’amore a Cristo e al prossimo.
A un anno dalla beatificazione avvenuta lo scorso 10 ottobre e per la sua memoria liturgica il giorno 12 dello stesso mese, in Originali o fotocopie? (ESD 2021, pp. 216) padre Giorgio Carbone ripercorre la vita del giovane cresciuto a Milano, ridando voce alle sue parole e ai numerosi testimoni che lo hanno conosciuto e che sono stati ascoltati durante l’inchiesta aperta dall’arcivescovo della diocesi meneghina.
Padre Carbone conosce Carlo in occasione della “Festa del Timone” del 27 maggio 2006 mentre, «raggiante come una Pasqua», gli testimonia la gioia di «aver potuto parlare della presenza attiva e reale di Gesù nell’Eucaristia» durante quella giornata attraverso una mostra sui miracoli eucaristici molto ben documentata. Una mostra curata personalmente proprio da quel «ragazzo creativo e geniale», per dirla con le parole della Christus vivit di Papa Francesco, che «ha saputo usare le nuove tecniche di comunicazione per trasmettere il Vangelo, per comunicare bellezza e valori».
Per non morire come fotocopie inseguendo le mode del tempo, «Carlo aveva ben compreso e ne avevamo parlato tante volte che l’uomo rischia sempre di andare fuori strada, di allontanarsi dalla via tracciata da Gesù per ognuno di noi. Aveva sotto i suoi occhi molti esempi di come si possa facilmente sbagliare strada e trascorrere i giorni lontani dal Signore. Credeva fermamente che per non morire come fotocopie fosse importante ricorrere ai sacramenti», ricorda sua madre Antonia Salzano.
Educato alla fede principalmente dalla tata polacca Beata, è consapevole sin da piccolo che ogni uomo sia amato da Dio nella sua unicità come un «fuori serie», per dirla col cardinal Caffarra, e che «Dio è sempre con noi e non ci abbandona mai». D’altra parte, sottolinea l’autore, «Carlo è santo perché ha percorso la sua vita alla presenza di Gesù risorto. Non ha mai camminato solo».
Un’amica Vanessa, alla quale regala una Bibbia mentre la consola per la sofferenza che sta vivendo a causa della separazione dei genitori, così ricorda il suo giovane amico: «Carlo parlava di Dio come se fosse il più Bello. Ricordo che mi diceva che voleva essere luminoso e raggiante come Gesù e se avessimo tutti messo in pratica gli insegnamenti di Gesù saremmo tutti stati più belli e radiosi».
«Non io, ma Dio», ripete spesso, esortando a ricercare «non l’amor proprio ma la gloria di Dio», perché «Dio mi faccia diventare santo». Nonostante la giovane età Carlo matura gradualmente la ferma convinzione di voler vivere per Cristo nella semplicità della quotidianità. Perciò al suo amico annoiato ribadisce con forza che «la vita è un dono che Dio ci ha fatto troppo prezioso e bisogna apprezzarne ogni istante». Certo egli sa bene che siamo «tutti invitati a salire sul Golgota e a prendere la nostra croce» e nello stesso tempo che «una vita sarà veramente bella solo se arriverà ad amare Dio sopra ogni cosa e il prossimo come noi stessi, e che per fare questo abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio che ci viene dato attraverso i sacramenti, in modo speciale l’Eucaristia». Di qui egli ammette con semplicità: «Ogni tanto vengo a raccontare le mie cose a Gesù».
La fede di Carlo si radica nell’amore a Gesù Eucaristica, definita «la mia autostrada per il cielo», la «medicina dell’anima per eccellenza», «il cuore di Cristo», che gli fa preferire quotidianamente la Messa a tante cose superflue, nella consapevolezza che «il Santissimo Sacramento non opera completamente e una volta per tutte in ciascuno di noi. La frequenza è uno degli effetti principali. Sette volte a settimana nutre più che sette volte a intervalli». Carlo vuole «essere sempre unito a Gesù». Perciò, mentre si prepara a riceverlo nella Santa Comunione per «aumentare la nostra capacità di amare», gli dice: «Gesù, accomodati pure, fa come se stessi a casa tua». «Tutti siamo chiamati ad essere come Giovanni discepoli prediletti, uniti al suo Cuore eucaristico», ripete ai genitori. E prega il Padre: «Dacci oggi anche l’Eucarestia quotidiana».
Consapevole che «il Sacro Cuore di Gesù è l’Eucaristia», Carlo ritiene «Gesù molto originale, perché si nasconde in un pezzetto di pane, e solo Dio poteva fare una cosa così incredibile». Di qui egli ritiene che «il momento decisivo per chiedere al Signore le grazie è quello della consacrazione durante la celebrazione eucaristica, quando il Signore Gesù Cristo si offre al Padre. Chi più di Dio che si offre a Dio può intercedere per noi?».
«Maria l’unica Donna della mia vita» esprime la devozione di Carlo alla Madonna, alla quale si consacra aderendo alla Compagnia di Maria Riparatrice. Il giovane testimonia tale legame alla Madre e al Figlio sin da piccolo quando, fiero di indossare una medaglietta che la sua bisnonna gli aveva donato in occasione del suo battesimo, che da un lato raffigurava il Sacro Cuore di Gesù e dall’altro la Vergine, afferma con gioia: «Così Gesù e la Madonna li avrò sempre vicini al mio cuore».
Come la sua fede, anche la sua carità è umile. Carlo cede la merenda ai compagni di classe e ne scusa la furbizia, dicendo: «Tanto oggi non avevo fame». Allo stesso modo, ricorda l’amica Vanessa che, «quando uscivamo insieme per una passeggiata e lui aveva con sé la sua paghetta, se vedeva qualche povero, gli dava i soldi senza tenere nulla per sé. Lo faceva anche con i suoi giochi: me ne dava molti, io che non ne avevo nessuno». Giovane liceale, ‘scienziato informatico’, si spende con i compagni soprattutto contro l’aborto, «uccisione di un innocente», e nella difesa della castità contro il dilagare della pornografia e dell’autoerotismo.
Egli comprende il vero segreto per essere felici già qui sulla terra in vista del cielo: «La tristezza è lo sguardo rivolto verso se stessi e la felicità è lo sguardo rivolto verso Dio». D’altra parte lo ribadisce espressamente: «Il mio amore vero è per Gesù». Un amore che si premura di contribuire alla salvezza delle anime, pregando per i peccatori. Egli stesso si meraviglia del fatto che «se veramente le anime rischiano la dannazione, non si parli quasi mai dell’inferno».
«Il Signore mi ha dato una sveglia» è il suo pensiero all’indomani della diagnosi di leucemia fulminante. E con una serenità disarmante, mentre da una parte presagisce la morte imminente nelle parole «Mamma, da qui non esco vivo», dall’altra pensa «alla gente che soffre più di me». Per loro offre tutto quello che soffre: «Offro la mia vita per il papa, per la Chiesa, per non fare il purgatorio e per andare diritto in paradiso».
«Carlo nella sua esistenza ha incontrato più volte l’agnello nella sua simbologia», rileva infine padre Carbone. Il pasticciere gli aveva preparato per il battesimo una torta a forma di agnello; i genitori gliene avevano regalato uno di peluche e, una volta, un agnellino gli tagliò la strada mentre era in auto con i genitori. Insomma «Cristo l’ha afferrato e Carlo si è lasciato conquistare» per cui, conclude l’autore, «ora sta con l’Agnello nella sua reale consistenza, cioè partecipa alle nozze dell’Agnello immolato per noi fin dalla creazione del mondo».
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana