«Da bruchi, con la morte diventeremo farfalle», diceva il giovane Carlo Acutis intuendo che «il futuro è in Dio» e che la beatitudine è il fine della vita. «Carlo è stato animato dal desiderio di compiacere Dio: faceva ogni cosa che potesse piacere a Dio. Con Carlo abbiamo visto con mano che la santità è una realtà». Così Andrea Acutis e Antonia Salzano raccontano la vita quotidiana e la fede del figlio beatificato il 10 ottobre 2020 in Trasmettere la fede alla scuola di nostro figlio Carlo Acutis(ESD 2023, pp. 192), una lunga e significativa conversazione con padre Giorgio Carbone.
Essi ripercorrono la vita del figlio nato a Londra nel 1991 e morto a Monza nel 2006. Indubbiamente è raro che ai genitori sia dato di assistere alla beatificazione del figlio, per giunta a così pochi anni di distanza dalla morte; eppure nel caso di Carlo è accaduto. Una giovane esistenza fatta di piccoli gesti ordinari resi straordinari dal profumo di Cristo che li ispirava e portava a compimento. Buono, autentico e affabile, «Carlo si interessava di tutto, di una città che eravamo in procinto di visitare, di un personaggio politico, di un videogioco o di un programma informatico. E lo faceva sempre in modo propositivo e in vista del bene delle persone con cui aveva a che fare».
I suoi genitori raccontano che, durante una gita a Porto Venere, Carlo aveva scorto dei delfini nuotare intorno alla barca. Questo a testimonianza che sapeva chiedere a Gesù nella preghiera anche piccole cose molto feriali di cui gioire, come confessò loro. Relativamente alla preghiera Carlo con grande naturalezza affermava: «Dio ascolta e risponde. Bisogna, però, crederci, avere fede che questo dialogo sia possibile e reale». Nello stesso tempo sapeva anche «chiedere con la preghiera una delle cose più importanti della vita: desiderare per noi il disegno di vita che Dio ama per noi». Glielo aveva ricordato anche l’angelo e Carlo lo ripeteva spesso: «Non l’amor proprio, ma la gloria di Dio».
Sin «da piccolo amava leggere la Bibbia illustrata per bambini. Diventato ragazzo, ne meditava tutti i giorni un brano, piccolo o lungo che fosse non importa. Talvolta per memorizzarlo lo trascriveva su un foglietto. Così diventava la sua luce, la sua bussola durante quella giornata, la sua sorgente di meditazione continua». La fede di Carlo si alimentava alla fonte dell’Eucarestia.Nel raccoglierne l’insegnamento, i genitori di Carlo sottolineano l’importanza della comunione sacramentale, nella consapevolezza che «ogni famiglia che vive e si nutre dell’Eucarestia adotta simbolicamente Gesù e lo porta a vivere nella propria casa e l’Eucarestia diventerà l’autostrada per il Cielo di questa famiglia». I suoi genitori ricordano poi l’importanza della tata polacca Beata per la crescita nella fede del piccolo Carlo. Egli portava con fede una medaglia che aveva da un lato l’immagine del Sacro Cuore di Gesù e dall’altro la Madonna. E indossandola diceva: «Così Gesù e la Madonna li avrò sempre vicini al mio cuore».
«Essere sempre unito a Gesù, questo è il mio programma di vita», scriveva dopo la sua Prima Comunione. Riteneva il tabernacolo una «culla di grazie» che, come «una calamita», attira ogni cuore al Padre. Era convinto che «dopo la santa Eucaristia, il santo rosario è l’arma più potente per combattere il demonio ed è la scala più corta per salire in Cielo».
Quando faceva catechismo ai bambini più piccoli, «per descrivere gli effetti che il peccato personale lascia nell’anima usava questa metafora: “Il più piccolo difetto ci tiene ancorati a terra allo stesso modo di come succede ai palloncini che vengono tenuti giù attraverso il filo che si tiene in mano”». Agli amici che cadevano nei peccati contro la castità Carlo ricordava che «il Padre ha un trono in cielo, ed anche il Figlio, perché siede alla sua destra, mentre lo Spirito Santo ha per trono i nostri cuori, che diventano tempio di Dio. Per questo, dobbiamo rispettare la sacralità che è la nostra anima e che è il nostro corpo, non banalizzare l’amore riducendolo ad una semplice “economia del piacere” finalizzata solo a soddisfare desideri egoistici e non piuttosto al vero bene». Inoltre per Carlo «ideare e realizzare mostre fotografiche era una sua passione». Lo testimonia in modo particolare la sua mostra molto ricca e documentata sui miracoli eucaristici nel mondo.
Tra le sue opere di carità i genitori ricordano come chiedeva loro il permesso «per acquistare alcune cose per i poveri, come i sacchi a pelo che consegnava di persona ai senza tetto che dormivano per strada vicino alla nostra casa a Milano. O come i contenitori termici per alimenti o i termos: dopo averli acquistati, li riempiva con parte della sua cena, con frutta, biscotti, panini farciti e dolci, poi insieme al nostro domestico, Rajesh, li portava ai senza tetto che si fermavano vicino all’Arco della Pace adiacente al Parco Sempione, oppure davanti alla nostra parrocchia di Santa Maria Segreta».
«Gesù mi ha dato una sveglia!», ripeteva ancora Carlo Acutis senza perdere il sorriso anche quando viene colpito dalla leucemia. Di quiCarlo diviene gradualmente sempre più consapevole che «ogni minuto che passa è un minuto in meno che abbiamo per santificarci e il tempo non va sciupato in cose che non piacciono a Dio, ma dobbiamo farcelo alleato», perché «la vita è un trampolino per l’eternità».
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana