Quando si parla di aborto la strumentalizzazione ideologica è all’ordine del giorno, come testimonia quanto accaduto recentemente ad Aosta.
«Sono pervenute al Centro donne contro la violenza di Aosta segnalazioni di donne che, giunte in presidi sanitari pubblici del territorio regionale per accedere all’interruzione volontaria di gravidanza, sono state negli stessi luoghi sottoposte a indebite interferenze e pressioni da parte di volontari, consistenti nell’imporre l’ascolto del battito fetale o nella promessa di sostegni economici o beni di consumo, con il preciso intento di dissuaderle dalla scelta di abortire, personalissima e spesso sofferta». Attraverso una denuncia generica e anonima contro ignoti – per di più affidata a una nota pubblicata sui social e non reperibile neanche sul sito della suddetta associazione – il centro antiviolenza di chiara ispirazione femminista ha diffuso nei giorni scorsi una notizia che ha da subito il sapore di una fake news inventata di sana pianta con l’obiettivo polemico di contrastare tanto la possibilità di prevedere volontari provita nei consultori pubblici quanto la proposta di legge di iniziativa popolare Un cuore che batte al vaglio del Parlamento.
Infatti, in mancanza della possibilità di effettuare un riscontro oggettivo, l’Ausl di Aosta ha subito replicato puntualizzando che «non risultano volontari di associazioni provita nei consultori o in ospedale e nessuna segnalazione è mai arrivata» e nel contempo ha auspicato che le prossime segnalazioni da parte di cittadini e associazioni non siano fatte in maniera generica, ma che siano esposti «in modo circostanziato eventuali episodi anomali in modo da poter permettere verifiche puntuali, approfondite ed efficaci a tutela di tutti».
Nella sua denuncia, il Centro donne contro la violenza di Aosta intravede nella presenza dei volontari per il sostegno concreto alla maternità «il rischio concreto di vittimizzazioni dovute all’esercizio di pressioni psicologiche sulle donne». Eppure al contrario non risultano pervenute né denunce né recriminazioni da parte delle madri nei confronti dei volontari provita per averle aiutate ad accogliere i bimbi che portavano in grembo, anzi esse – quando ciò è accaduto – hanno piuttosto manifestato sentimenti di profonda gratitudine rispetto a quanti le hanno concretamente supportate anche attraverso aiuti economici a portare a termine una gravidanza indesiderata o resa difficile da contingenze di varia natura.
«L’aborto – ha inoltre sottolineato tale associazione – non è una concessione ma un diritto della donna e deve essere garantito dalla possibilità di rivolgersi ai consultori, alla presenza di figure professionali qualificate, senza il pericolo di essere sottoposte a giudizi morali o a manipolazioni». Anche rispetto a tale conclusione, la manipolazione ideologica è semmai a carico delle femministe e di quanti si adoperano con ogni mezzo per negare la realtà dell’embrione quale essere umano fin dal suo concepimento. D’altra parte per le strenue pioniere della libertà di abortire, l’interruzione di gravidanza deve restare una “scelta a senso unico” che non consideri affatto la libertà della donna di non abortire né contempli la possibilità di un ripensamento da parte della madre. Non si spiegherebbe altrimenti tale acredine nei confronti dei volontari per la tutela del diritto alla vita di ciascuno.
Tra l’altro è significativo che la polemica sia scoppiata proprio nella regione, la Valle d’Aosta, col minor numero di obiettori di coscienza, ossia soltanto 2 su 12. Intervenendo sul tema, il Ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella ha tentato di smascherare la fake news diffusa dal Centro donne, rilevando come non sia stato certamente un volontario provita a compiere una simile azione (semmai è stata davvero compiuta ndr) «perché per far sentire il battito c’è bisogno di un’ecografia e di un ginecologo». La stessa ha però nel merito nettamente sconsigliato di «far sentire il battito del nascituro a una donna che sta andando ad abortire» in quanto ciò non costituirebbe «un modo per aiutare le maternità difficili».
Quest’ultima un’affermazione forse non propriamente felice, poiché – pensiamo noi – al contrario, l’ascolto del battito cardiaco del bimbo nel grembo materno dovrebbe rientrare a pieno titolo tra le clausole previste all’art. 2 della stessa legge 194, per contribuire «a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza» e dunque per realizzare un autentico consenso informato sulla realtà dell’embrione quale essere umano fin dal concepimento. L’opportunità di tale ascolto sarebbe perciò senza dubbio una buona, anzi ottima prassi medica, poiché valorizza nello stesso tempo la professionalità del medico, la dignità della madre e quella del figlio, offrendo alla donna un dato prezioso che le consenta di illuminare e percepire in maniera ancor più concreta la realtà del figlio in grembo.
Quando una donna è incinta non c’è solo il suo corpo e il suo cuore, come ancora si ostinano a sostenere le femministe, in barba alla scienza, bensì c’è anche il corpicino del figlio che gradualmente va formandosi e – cosa ancor più mirabile sul piano scientifico prima che emotivo – un cuore che batte proprio accanto al suo e in modo completamente autonomo, perché necessita di irrorare il proprio sangue (non quello della madre) per provvedere progressivamente alla formazione autonoma e graduale dei suoi tessuti e organi.