“L’acqua la insegna la sete”, scriveva Emily Dickinson. Entrare in contatto con la propria sete, ossia con la natura profonda del proprio desiderio di felicità, di verità e di bene non è facile, per cui si preferisce spesso evitare di farlo, riducendosi alla “fiction di se stessi” e, nella peggiore delle ipotesi, alla morte della propria vita spirituale. Ma “che cosa insegna la nostra sete? Quale fonte essa illumina? Facciamo della nostra sete una scuola di vera conoscenza, nostra e di Dio? Oppure accettiamo di vivere in penuria di acqua, tentando di mascherare una sete cui non prestiamo ascolto?”
A queste domande prova a rispondere il libro di José Tolentino Mendonça, teologo e poeta, vice rettore dell’Università Cattolica di Lisbona, Elogio della sete(Vita e Pensiero, 2018), che raccoglie le sue meditazioni tenute durante gli esercizi spirituali della scorsa Quaresima per Papa Francesco e la Curia romana.
Spesso si ha paura di riconoscere la propria secchezza e dunque la propria sete, anzi talvolta dinanzi alla vulnerabilità estrema, quando si è schiacciati dai propri limiti, la sete può diventare anche fonte di aggressività nei confronti del prossimo. Ripercorrendo le pagine della Scrittura fino all’ultima espressione pronunciata da Gesù nel libro dell’Apocalisse: “Chi ha sete venga a me” (Ap 22, 17), Mendonça sottolinea che il desiderio è “una tensione, una ferita sempre aperta, un’aspirazione che ci trascende”, che nessuno oggetto può mai soddisfare pienamente. Esso non deve perciò essere confuso col bisogno, che invece si colma con la soddisfazione di una necessità. Pertanto “l’infinito del desiderio è desiderio di infinito”. Se il desiderio autentico aiuta a trascendere il proprio io, cedendo spazio all’altro e liberando dalla tirannia del proprio egoismo, i nemici peggiori del desiderio sono allora accidia e indifferenza, i quali provocano “una devitalizzazione interiore” che si traduce in una “mancanza di presenza e di interesse” per ogni accadimento o persona.
“Chi si ritiene sazio o poco interessato ad accettare uno svuotamento di sé, spegne il proprio desiderio”. In una società che ha nevrotizzato tutte le forme del desiderio, la sete si lega di frequente “a oggetti finiti”, a “idoli, innalzati al posto dell’assoluto”. Il desiderio diventa così una trappola ingannatrice, per parafrasare Simone Weil.
Il desiderio autentico del cuore umano è piuttosto “una sete diversa: è il desiderio di essere amato, guardato, curato, desiderato e riconosciuto”. Per questo motivo alla sete dell’uomo di verità e pienezza di vita viene incontro la sete dell’uomo da parte di Dio che da sempre precede ed eccede ogni desiderio umano e si fa carne nel suo Figlio. In particolare, nell’incontro con la Samaritana, “Gesù chiede da bere, ma è Lui che darà da bere”. Cristo è l’acqua viva, eppure ha sete di dissetare la sete dell’uomo, come testimoniano le sue parole sulla croce “Ho sete” (Gv 19, 28): “la sete è così il sigillo del compimento della sua opera e, allo stesso tempo, del desiderio ardente di fare dono dello Spirito, vera acqua viva capace di dissetare radicalmente la sete del cuore umano”.
Questa sete d’amore di Cristo effusa nello Spirito Santo costituisce la fonte della stessa sete dell’uomo, ossia della sua capacità di desiderare e possibilità di amare ed è seme di vita piena e promessa di gioia vera. Ne era ben consapevole Madre Teresa di Calcutta che in proposito conferma: “A meno che voi non sentiate nel profondo di voi stessi che Gesù ha sete di voi, non potrete cominciare a capire ciò che lui vuole essere per voi e voi per lui”.
Fonte: LaNuovaBussolaQuotidiana