Il vaticanista Svidercoschi racconta il pontificato di Bergoglio
“La Chiesa aveva bisogno di una guida così, di un vero pastore, per il quale ogni riforma ritornasse all’essenziale del Vangelo e si ispirasse alla misericordia divina. E anche il mondo, in un tragico momento storico, aveva bisogno di una voce autorevole, che rivendicasse credibilmente le ragioni della pace e richiamasse tutti alla sobrietà del vivere, alla salvaguardia del creato e a prendersi cura della immensa schiera degli ultimi della terra, dei più diseredati, di quanti fuggono dalla miseria, dalle persecuzioni, dalla ferocia del terrorismo”.
Con queste parole Gian Franco Svidercoschi, giornalista e scrittore, ex vice-direttore de L’Osservatore Romano introduce il suo recente volume “Francesco l’Incendiario. Un papato tra resistenze, contraddizioni e riforme” (Tau Editrice 2017, pp. 196, € 13), entrando nelle pieghe del pontificato di Bergoglio, che sembra incarnare proprio il monito del fondatore della Compagnia di Gesù: “Andate, infiammate tutto”. Nel tratteggiare la figura del pontefice, definito ‘incendiario’ per il suo ardore e zelo apostolico, l’autore prende però le distanze sia dal “conformismo di chi esalta il Papa qualsiasi iniziativa prenda e come se fosse sempre lui il ‘primo’ ad averla presa”, sia “dal conformismo di chi invece si è schierato pregiudizialmente contro”. Con grande franchezza Svidercoschi nota infatti che Bergoglio “è uno che sa apprezzare le critiche, purché fondate e oggettive, anche se alla fine in genere decide sempre di testa sua. Quel che invece non sopporta è il rifiuto a priori, il pregiudizio”. Allo stesso modo il vaticanista rileva che le categorie di ‘destra’ e ‘sinistra’, come le etichette di conservatore o progressista, risultino difficilmente applicabili e inadeguate a un pontefice come lui, così sui generis. Francesco è sicuramente un riformatore, ma “non è un uomo di parte, né tanto meno un ideologo. Il suo pontificato, semmai, si caratterizza per un ritorno alle fonti evangeliche. Le sue accuse, ai sistemi politici e alle teorie economiche, vanno inquadrate in un’ottica umana e cristiana”.
L’autore si sofferma poi in particolare sul cambio radicale di registro linguistico operato da Bergoglio, “vivo, diretto, accattivante, semplice, che arriva alla gente”, su un certo “martellamento di parole-chiave – Chiesa in uscita, misericordia, tenerezza, popolo di Dio, sinodalità, collegialità, solidarietà, trasparenza”. In conformità al paradosso cristiano e nella prospettiva di un uomo del Sud del mondo, Francesco pone la periferia al ‘centro’ e i più poveri ed emarginati quali destinatari privilegiati del messaggio evangelico. “Ogni chiesa locale ritrovi il suo ‘prestigio’ spirituale”: è stato questo il motivo dell’indizione del Giubileo della Misericordia non solo a Roma ma anche in ogni diocesi.
Svidercoschi guarda al di là dell’“effetto Francesco”, ripercorre i principali gesti, i viaggi, le encicliche (con particolare attenzione all’‘ecologia integrale’ della Laudato si’), l’anelito ecumenico, gli incontri, lo scandalo Vatileaks 2 e le riforme del pontefice argentino volte a corroborare un sensus fidei alieno da forme di stagnante clericalismo. Ne emerge un profilo di “Papa che vive il Vangelo. Annunciandolo sempre di nuovo, ogni giorno, come se fosse la prima volta. E testimoniandolo con la propria vita, in ogni gesto, in ogni parola, in ogni decisione”. In questo modo Francesco sta guadagnando alla Chiesa sicuramente maggiore “dinamismo interno e credibilità esterna”. Quella del Papa argentino è dunque in definitiva, secondo l’autore, “una rivoluzione della speranza” tuttora in fieri, nel tentativo “di ripensare il messaggio cristiano in questa realtà e nella cultura che lo permea. E quindi di ripensare anche la Chiesa in riferimento, non solo a se stessa, ma al mondo, all’intera umanità”.