«La croce lo portò come ucciso. Il cielo lo portò come Dio. Sul legno lo appesero come un ucciso, nel sepolcro lo posero come un cadavere. Chi per noi, Signore, come te? Il Grande che si fece piccolo, il Vigilante che si addormentò, il Puro che fu battezzato, il Vivente che perì, il Re che fu disprezzato per dare a tutti onore».
Medita così il mistero dell’Agnello immolato Efrem il Siro (306-373), poeta, teologo, polemista di grande acume intellettuale, diacono e asceta vissuto nell’antica Mesopotamia nel IV secolo e morto a Edessa dopo aver contratto la peste mentre curava gli ammalati. Efrem scruta i libri attraverso cui Dio parla, ossia la Scrittura e la natura, e illumina con profonda sapienza teologica e attraverso «paradossi e immagini», per dirla con Benedetto XVI, i misteri della fede cristiana. Nella sua udienza dedicata al teologo siriaco, il Pontefice emerito ha sottolineato come «Efrem si serva di questi inni per diffondere, in occasione delle feste liturgiche, la dottrina della Chiesa. Nel tempo essi si sono rivelati un mezzo catechetico estremamente efficace per la comunità cristiana».
«Tu che solo sei senza peccato, per me peccatore indegno, Ti sei offerto alla morte e alla morte di croce. Così hai liberato le anime dalle insidie del male. Che cosa ti renderò, o Signore, per tanta bontà? Gloria a te, o amico degli uomini! Gloria a te, o Dio di misericordia! Gloria a te, o paziente! Gloria a te, che perdoni i peccati! Gloria a te, che sei venuto per salvare le nostre anime!». Il mistero della croce, cuore della fede cristiana, è al centro della teologia poetica di Efrem il Siro condensata negli Inni pasquali (Paoline, pp. 371), pubblicati con un’accurata introduzione e traduzione a cura di Ignazio De Francesco.
Il Cenacolo è inteso da Efrem quale luogo profetico della realtà sacramentale della Chiesa: «Beato sei tu, luogo del Giusto, poiché in te il Signore nostro ha spezzato il proprio corpo. Un piccolo luogo fu specchio di tutta la creazione che fu riempita da lui. L’alleanza grande uscì da una piccola dimora e riempì la terra. Beato sei tu, luogo, poiché la tua piccolezza è posta di fronte a tutta la creazione. Beata la tua dimora, nella quale fu spezzato quel pane proveniente dal covone benedetto. In te il nostro Signore ha mangiato la piccola Pasqua e divenne egli stesso la grande Pasqua. Una Pasqua che passò e un’altra che non passa: simboli e compimento. In te fu spremuto il grappolo venuto da Maria, calice della salvezza: il nostro Signore che si fece vero altare, sacerdote, pane e calice della salvezza, altare e agnello, sacrificio e sacrificatore, sacerdote e cibo».
La creazione tutta beneficia degli effetti salvifici della redenzione operata da Cristo. Di qui il giardino del Getsemani diviene il nuovo Eden, nel quale la volontà di Adamo contraria a quella di Dio è ricondotta al Padre nella volontà umana e divina del Figlio: «Beato sei tu, luogo, perché hai fatto gioire il giardino delle delizie con le tue preghiere. In esso si era divisa la volontà di Adamo verso il suo Creatore. Nel giardino Gesù entrò, pregò e ricompose la volontà che si era divisa nel giardino con le proprie preghiere. Disse: “Non la mia ma la tua volontà!”». E «la Sua volontà è la grande chiave mediante la quale sono aperti i magazzini della misericordia».
Meditando sulla Passione, Efrem rievoca le ingratitudini e le sofferenze accolte da Cristo, «Sapienza di Dio che scese tra gli stolti. Donò sapienza con il suo insegnamento. Come mercede per i suoi aiuti la presero a schiaffi. Sulla propria guancia lo schiavo affrancato riceve il segno: qui fu colpito Colui che affranca tutti». Tuttavia il buon ladrone, riconoscendo la regalità del Signore dalla propria croce, si rivela quale suo discepolo fedele: «Beato anche tu, ladrone, poiché a causa della tua morte la Vita ti ha incontrato. Il nostro Signore ti ha preso e adagiato nell’Eden. Giuda tradì con inganno, anche Simone rinnegò e i discepoli fuggendo si nascosero: tu però lo hai annunziato». E in un altro inno aggiunge: «Mediante la croce tutti sono vinti dalla morte, Egli la prese e con essa la vinse».
Relativamente al mistero del Sabato Santo, il diacono di Nisibi scrive: «Colui che disse ad Adamo “Dove sei?”, è sceso agli inferi dietro a lui, l’ha trovato, l’ha chiamato e gli ha detto: “Vieni, tu che sei a mia immagine e somiglianza! Io sono disceso dove tu sei per riportarti alla tua terra promessa!”».
Il sepolcro diviene allora anche immagine di un grembo che accoglie e fa germogliare il germe della vita nuova: «Beato sei anche tu, sepolcro unico, poiché la Luce unigenita sorse in te. Dentro di te fu vinta la morte orgogliosa, che in te il Vivente morto ha cacciato via. Il suo sepolcro e il suo giardino sono simbolo dell’Eden nel quale Adamo morì di una morte invisibile. Il Vivente sepolto che risuscitò nel giardino risollevò colui che era caduto nel giardino». La Morte si ritrova allora a meditare sulla propria sconfitta: «La morte di Gesù è un tormento per me, vorrei averlo lasciato vivo: sarebbe stato meglio per me che la sua morte. Qui c’è un morto la cui morte trovo detestabile; alla morte di ogni altro io gioisco, ma la sua morte mi tormenta. Correrò e chiuderò le porte dello Sheol davanti a questo Morto la cui morte mi ha rapinato. Un farmaco di vita è entrato nello Sheol e ha riportato i suoi morti indietro alla vita. Chi, vedendo la tua croce potrebbe dubitare che sei veramente uomo? Chi, quando vede il tuo potere, mancherebbe di credere che sei anche Dio? Da queste due indicazioni io ho imparato a confessarti insieme uomo e Dio. Gesù re, accogli la mia preghiera, e con la mia preghiera prendi i tuoi ostaggi, porta via, come tuo grande ostaggio, Adamo in cui tutti i morti sono nascosti – così come, quando l’ho ricevuto, in lui tutti i vivi erano contenuti. Come primo ostaggio io ti do il corpo di Adamo. Ascendi ora e regna su tutto e quando io ascolterò il suono della tua tromba, con le mie stesse mani condurrò i morti alla tua venuta». Infatti «quell’Agnello vivente aprì ai sepolti una via dal sepolcro».
La ri-creazione operata dalla Resurrezione di Cristo è così celebrata dal poeta teologo siriaco: «Come un chicco di grano cadde poi nello sheol e salì come covone e pane nuovo. E la chiave fu per me la tua croce, fu essa ad aprire il paradiso. Dal giardino di delizie portai, raccolsi e recai dal paradiso rose e fiori eloquenti. Eccoli sparsi durante la tua festa, negli inni, sull’umanità. Ecco la festa gioiosa che è tutta bocche e lingue. Donne e uomini casti furono in essa come trombe e corni. Bambini e bambine furono in essa arpe e cetre. Si intrecciarono le voci nelle voci, salirono e giunsero tutte al cielo, diedero gloria al Signore della gloria». Coniugando mirabilmente teologia e poesia in una produzione innodica adatta tanto per la recita quanto per il canto liturgico, Efrem si rivela davvero quale ‘cetra dello Spirito Santo’.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana