Riproporre il cristianesimo nel suo fascino originale e nella sua profonda ragionevolezza come risposta al desiderio di felicità e pienezza dell’uomo del proprio tempo. È questo il cuore del pensiero teologico di Luigi Giussani, che è stato oggetto di un importante convegno di studi, il primo in Europa a livello internazionale, sulla figura e la vasta produzione di scritti del sacerdote ambrosiano, una tra le personalità più significative del cattolicesimo italiano e non solo del Novecento, noto soprattutto per il suo genio educativo e le realtà ecclesiali nate nel suo carisma.
Gli atti di tale convegno, che si è tenuto presso la Facoltà teologica di Lugano tra l’11 e il 13 dicembre del 2017, sono stati raccolti in un poderoso volume, Luigi Giussani. Il percorso teologico e l’apertura ecumenica, edito recentemente da Cantagalli e da Eupress FTL. In esso sono condensati i contributi di autorevoli studiosi e confratelli che ne hanno apprezzato e condiviso il carisma, tra cui Stefano Alberto, Maria Bocci, Massimo Borghesi, Francesco Braschi, Edoardo Bressan, Aleksandr Filonenko, Onorato Grassi, André-Marie Jerumanis, Sobhy Makhoul, Giulio Maspero, Paola Mazzola, John Milbank, Antonietta Moretti, René Roux, Alberto Savorana, Jacques Servai. Inoltre vi sono brevi saggi di Romeo Astorri, Michael Konrad, Marco Lamanna, Ezio Prato e Monica Scholz-Zappa, nonché una lectio magistralis del Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, Julián Carrón.
Un coro a più voci, dunque, ciascuna delle quali evidenzia un aspetto della personalità multiforme del ‘Gius’, teologo colto e originale, autore di numerosissimi testi letti in tutto il mondo e meditati ancora oggi soprattutto tra i membri della Fraternità di Comunione e Liberazione. Al centro di essi non vi è un pensiero astratto, ma la consapevolezza che l’avvenimento cristiano sia la lente d’ingrandimento necessaria per mettere a fuoco la realtà in tutte le sue pieghe e per valorizzarne esperienze umane, religiose, intellettuali e artistiche. Un pensiero che si nutre del confronto con le più alte figure del panorama teologico del secolo scorso, tra cui de Lubac, von Balthasar, Guardini, Niebuhr, Newman, e naturalmente i papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Don Giussani è “tra le poche voci che hanno intuito le crepe profonde apertesi nella cristianità, in un panorama in cui, apparentemente, i valori tradizionali sembravano un punto di riferimento per la maggior parte degli italiani” (Maria Bocci). Così, facendo leva sulla natura dell’uomo che “non può fare a meno di desiderare”, egli intuisce quel “Mistero che parla dal di dentro della nostra esperienza”. Il sacerdote ambrosiano sottolinea come il Logos sia un ‘fatto incarnato’, “un’evidenza che si impone alla coscienza”. In questa prospettiva credere equivale a vivere l’incontro con Gesù nella quotidianità, poiché “l’avvenimento di Cristo, che è il significato di tutto, ti fa vivere tutto in modo diverso. […] Noi scopriamo la fede come convinzione dentro il gesto, dentro la diversità del gesto che essa provoca. Questo gesto è il gesto normale: mangiare, bere, vegliare, dormire, vivere, morire”. Di qui “il lavoro culturale del cristiano nel mondo deriva dalla sua liberazione mediante la sua comunione a Cristo con Dio, vivendo secondo l’impegno di Gesù per il mondo e non semplicemente contemplando la verità di Cristo. Si tratta di essere coinvolti nell’impegno di Cristo, muovendosi nello stesso senso”. Con queste parole il professor Jerumanis evidenzia nel proprio contributo la sintonia del sacerdote di Desio con il pensiero di von Balthasar. Giussani avrebbe certamente condiviso quanto l’illustre teologo svizzero affermava, ossia che “il cristianesimo nato dalla Parola-carne deve diventare cultura: umanità in senso lato che abbraccia anche tutti campi della cultura umana”.
Relativamente alla Parola di Dio e alla sua lettura e meditazione, Giussani sostiene che “la capacita di osservare e di lasciarsi stupire dalla realtà non si applica solo alle vicende attuali, ma anche a quelle testimoniate dalle Scritture”. Di qui egli propone un’‘esegesi esperienziale’, per cui i brani evangelici che privilegia “sistematicamente sono quelli in cui il senso religioso è più manifesto ed il legame con la vita più fruttuoso” (Roux). Sul piano liturgico, Braschi ricorda invece come per il sacerdote ambrosiano la Santa Messa sia “il gesto più importante della nostra esistenza perché è il gesto della morte e resurrezione di Cristo”. Per Giussani “la vita del cristiano deve essere una messa vissuta”, nella misura in cui la celebrazione eucaristica “dovrebbe essere il paradigma, la struttura ideale, ispirativa, la forma di tutte le nostre azioni”.
Sulle sue passioni letterarie, Maspero ricorda l’incontro del Gius con Leopardi, che consente “al giovane seminarista di percepire la domanda metafisica originaria che abita il cuore del poeta, presentandolo quasi come vate della sproporzione tra la finitudine dell’essere umano e la tensione all’infinito che in modo ineludibile lo attraversa”. Tuttavia, nella sua lettera di Leopardi, Giussani evidenzia come il poeta di Recanati non si fermi alla coscienza del limite umano che si rivela costantemente nel rapporto con la realtà, ma colga la realtà come un segno, “un rinvio all’oltre”, al suo fondamento metafisico, il medesimo del proprio io. Nelle poesie di Ada Negri scorge invece che “tutto è atto d’amore”. Relativamente alla missione e sfida educativa del sacerdote di Desio, Maspero rileva come l’educazione si configuri quale “introduzione alla realtà totale come coscienza, conoscenza e amore”, poiché “conferma e svolge il cuore dell’uomo, in quanto la coscienza dell’io vive come essenziale esigenza di una totalità”.
“Il cammino al vero è un’esperienza”, sottolinea infine Julián Carrón nella lectio magistralis che chiude il volume. Egli ripercorre le tappe del cammino esistenziale del fondatore di CL alla riscoperta della fede come “pertinenza alle esigenze della vita” e quale “avvenimento di Dio che si è fatto carne e permane nella storia come avvenimento, la cui forma incontrabile è quella compagnia umana che si chiama Chiesa”. D’altra parte, se così non fosse, ossia se “Cristo non si rendesse ‘contemporaneo’ a noi attraverso l’incontro con una umanità raggiunta e cambiata da Lui, il Suo ricordo non sarebbe in grado di muovere il nostro io, non inciderebbe sul nostro presente, non avrebbe la forza di compiere l’attesa sterminata del cuore”. Vivere l’eredità ricevuta nel solco del carisma di don Giussani significa allora, per il suo successore alla guida del Movimento, “testimoniare una fede che possa essere reperta e trovata nell’esperienza presente, confermata da essa, utile a rispondere alle sue esigenze”, perché è la sola “in grado di resistere in un mondo dove tutto, tutto, diceva e dice l’opposto”.
Fonte: LaNuovaBussolaQuotidiana