«Cristo, volendo far capire quale fosse la grandezza del mondo, volle che gli fosse portata l’asina che era aggiogata. La gloria del mondo è come un vapore della terra che il sole, che è la vera gloria di Dio, subito manda via». Nel suo ingresso a Gerusalemme Gesù rifugge le lusinghe del mondo, preparandosi così alla sua Passione, che costituisce il cuore dell’omiletica in volgare del frate Bernardino da Siena condensata nelle sue Prediche della Settimana Santa (Paoline, pp. 262).
Le reportationes sul «Cristo passionato», ossia gli ‘appunti’ delle omelie del santo senese pronunciate a Firenze durante la Settimana Santa del 1425, si sviluppano lungo le coordinate ‘amore-dolore’ e sulla scia della drammatizzazione della Passione già in auge ai tempi di Jacopone da Todi. San Bernardino, che nel 1400 rimane a lungo al capezzale di tanti ammalati di peste e moribondi per assisterli anche spiritualmente fino all’ultimo respiro, contrae gravemente anch’egli il morbo, provandone gli effetti devastanti sulla propria pelle.
«Non vi è miglior cibo, né più dilettevole, per chi si è ben esaminato nella sua coscienza e confessato bene, che il sacramento del corpo di Cristo», proclama il santo frate nell’omelia In Coena Domini, ricordando la necessità di celebrare degnamente il sacramento della riconciliazione «con grande dispiacere del peccato, amarezza e dolore di cuore; l’intenzione di correggersi; il diletto del divino parlare, anche nell’ascolto delle divine ispirazioni; la prontezza nelle opere buone e il godere del bene e il piangere del male del prossimo» per poter poi vivere pienamente la comunione con Cristo e i fratelli nel sacramento dell’Eucarestia.
Relativamente all’omelia nel Venerdì Santo, «per sentire la dolorosa morte di Cristo, bisogna che la fonte della grazia impetri per noi la grazia senza la quale non è possibile che noi ora contempliamo un mistero tanto doloroso». Di qui San Bernardino ricorre in apertura a Maria, «fonte di grazia, confitta in croce con Cristo e trasformata in lui e Cristo con lei»; poi ripercorre dodici dolori vissuti da Gesù. Tra questi rileva anzitutto il dolore del Maestro nel lasciare gli amici di Betania e non solo – Marta, Maria e Lazzaro, ma anche la Vergine e Maria Maddalena – per recarsi a Gerusalemme e lì affrontare la sua Passione per compiere la volontà del Padre. In un dialogo commovente tra il Figlio e la Madre, «io penso che allora Gesù le dicesse: “In te sola verserò l’angoscia del mio dolore. Questo trapasserà la tua anima, dolce madre mia”», scrive il frate santo parafrasando i versetti evangelici, nel contempo in maniera fedele e creativa, sulla scia delle laudi drammatiche.
Il secondo dolore è dato dalla consapevolezza del tradimento di Giuda e nel «vedere i suoi cari discepoli dispersi e scandalizzati per lui. Aveva quasi più dolore per loro che per sé, perché li amava come fratelli». Il terzo dolore è legato all’agonia nel Getsemani: «Il timore della carne, che vedeva avvicinarsi l’ora di tanta passione, risalì con tutto il suo sangue al cuore, facendolo restare pallido e smorto; ma la carità sgorgata dal cuore esce fuori e manda via il sangue alle altre parti del suo corpo con tanto empito di amore sgorgato che non poté resistere e uscì fuori da tutti i pori, proprio come fa il sudore di acqua; uscì e sgorgò fino a terra. Pensa come dolore ed amore combatterono forte in lui».
Il maltrattamento subito da Cristo mentre «si lasciava trattare a modo loro» costituisce il quarto dolore; l’abbandono dei discepoli il quinto. I dolori di sua Madre e quelli delle percosse, per cui «da più bella creatura del mondo è diventato tutto livido e smorto» costituiscono il sesto dolore; l’esser sbeffeggiato da Pilato ed Erode e «condotto legato di qua e di là» il settimo. Flagellazione e corona di spine, sputi e scherni, sono l’ottavo dolore; «il dolore e la pena che ebbe per Lei», quando incontra lo sguardo della Madre, ne costituiscono il nono. La caduta sotto il peso della croce e la «superangoscia» della Vergine sono il decimo, mentre la crocifissione è l’undicesimo dolore: «Sostenne una grandissima sofferenza e dolore. Il suo sangue prezioso scorreva copioso, l’amore sgorgava, diluvio di grazie d’amore». L’ultimo dolore traspare infine dalle cinque piaghe e nelle sette parole pronunciate dal trono della croce.
L’omelia nel Sabato Santo è invece il prosieguo ideale di quella del Giovedì Santo, per cui la predicazione di san Bernardino ritorna sul sacramento dell’Eucarestia per promuovere il precetto della Comunione almeno a Pasqua quale «sacrificio a Dio, viatico nostro e comunione del prossimo o col prossimo». Di qui l’esortazione: «Apri a Dio e chiudi al mondo nel Sacramento vigorosamente! Ricevilo con buon viso, come ricevi a casa tua un grandissimo tuo amico; sorridigli e fagli molte carezze».
Poiché gli apostoli e le donne «non avrebbero potuto sopportare la vista della sua forma così splendente», nella domenica di Pasqua, Cristo «si mostra fisicamente secondo quanto erano disposti verso di lui più o meno, così appare loro». Di qui, sulla scia del Risorto, «lucentezza, levità, sottilità e impassibilità sono le quattro doti che avranno i corpi resuscitati in gloria». Dopo aver accennato brevemente alle apparizioni del Risorto, tale omelia s’interrompe purtroppo bruscamente sulla scena del perdono a Pietro dopo il rinnegamento, segno di luminosa speranza per la redenzione di quanti si aprono con cuore umile ad accogliere l’infinita misericordia del Padre per vivere una vita nuova ‘da risorti’ che produca frutti di salvezza eterna.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana