Figure note da riscoprire e presenze più modeste e nascoste da conoscere, anche attraverso riferimenti all’arte, alla letteratura e alla musica. Sono questi i santi ritratti dal nostro Antonio Tarallo nel suo 60 colori della grazia (Ares 2024, pp. 188), una galleria di testimoni luminosi del Cristo, ciascuno dei quali ha attuato perfettamente il proprio carisma, e dunque una sfumatura puntuale e peculiare della multiforme grazia del Padre.
«L’uniformità è più diffusa tra gli uomini “naturali” che tra chi si arrende a Cristo. Come sono stati monotonamente simili tutti i grandi tiranni e conquistatori! E come sono gloriosamente diversi i santi», osservava acutamente Lewis. Si sviluppa sul filo rosso di tale consapevolezza la rassegna di santi approfonditi da Tarallo. Agli albori del cristianesimo, in una delle prime domus ecclesiae, si ammira la fede della santa martire Prassede, di frequente rappresentata mentre è intenta a raccogliere il sangue dei martiri. Lo stesso seme alberga nel cuore della sorella Pudenziana, anch’ella martire, e in tante donne spesso anonime, in specie «siriane, irachene, pakistane, nigeriane», pronte ieri come oggi a testimoniare Cristo con la loro vita sino alla fine.
«Sono la serva del Dio eterno, il quale ha detto: quando sarete trascinati dai giudici, non preoccupatevi di cosa dire, perché non sarete voi a parlare, ma parlerà in voi lo Spirito Santo». Questo afferma santa Lucia al processo davanti il prefetto Pascasio, mentre con lo sguardo della fede capace di scorgere il valore insito nella croce, va incontro alle numerose tribolazioni del suo martirio. Poi vi è sant’Elena, «l’archeologa del Mistero», colei che rinviene la ‘vera croce’ di Cristo tra le tre croci sul Golgota dalla guarigione che il sacro legno produce in una donna ammalata.
In San Girolamo, che traduce la Scrittura «non parola per parola, ma il senso con il senso, la successione delle parole è regola mistica», nota Tarallo, il quale definisce San Leone Magno quale «Pontefice di preghiera che nell’azione trova la sua massima espressione» e che manifesta la carità verso il prossimo confermandolo anzitutto nella verità. È infatti San Leone Magno l’autore del Tomo a Flaiano e l’ispiratore del concilio di Calcedonia ove viene affermato il dogma cristologico e confutata l’eresia eutichiana. A rendere Magnus san Gregorio è invece la sua profonda umiltà. Il santo pontefice benedettino riconosce che «solo in presenza dei miei fratelli ho compreso molte cose della parola di Dio. Da solo non sarei mai riuscito a comprenderle».
Di Antonio di Padova l’autore che porta il suo nome ricorda la straordinaria arte del predicare, che si evince in special modo quando il santo portoghese designa la croce quale specchio per la vita del fedele, il quale può contemplare nel crocifisso «quanto furono mortali le tue ferite e quanto grande sia la tua dignità. In nessun altro luogo l’uomo può meglio rendersi conto di quanto egli valga».
«Più cuore in quelle mani, fratelli, più cuore», ripete con insistenza Camillo de’ Lellis ai suoi mentre si prodigano al capezzale degli ammalati. È padre Angelo che incontra nel convento di San Giovanni Rotondo a far cambiare strada al giovane Camillo, soldato amante del gioco, ricordandogli che «Dio è tutto, il resto è nulla. Bisogna salvare l’anima che non muore». Padre Giovanni Battista de La Salle elabora piuttosto una pedagogia per gli ultimi e apre diverse scuole gratuite, premurandosi di istruire tanto i giovani quanto i loro insegnanti, nella consapevolezza che questi ultimi siano «segretari che scrivono lettere dettate da Cristo su tavole di carne, quali sono i cuori dei fanciulli». In ambito educativo ma non solo, don Bosco ricorda che è «con la preghiera e il sacrificio che si prepara l’azione». Fa tesoro di tale insegnamento tra gli altri Domenico Savio, un ragazzino che fonda insieme a giovani amici la Compagnia dell’Immacolata per aiutare il sacerdote piemontese a «salvare le anime».
Ampio spazio ricopre nel volume anche la santità declinata al femminile, che vede tra le tante Caterina da Siena, Francesca Romana, Angela da Foligno; Edvige, regina di Polonia; Teresa d’Avila, Rosa da Lima e Angela Merici, la quale nel 1535 fonda la Compagnia delle dimesse di Sant’Orsola, il primo ordine di vergini chiamate a vivere da consacrate non nei chiostri ma nel mondo. Della mistica Veronica Giuliani viene ricordato che, quando riceve le stimmate, prega il Padre che le conceda la grazia di tenerle nascoste agli occhi del mondo; di Caterina Labouré che fu Vincenzo de’ Paoli a prepararla in sogno all’incontro con la Vergine, ispirandole il desiderio ardente di vedere la Madonna, cosa che accade proprio alla vigilia della festa del santo della carità. La beata Anna Maria Taigi apre la sua umile dimora familiare all’accoglienza dei poveri; la beata Elisabetta Canori Mora rimane fedele a Dio e al marito nonostante i tradimenti di lui, divenendo così esempio luminoso di santità coniugale.
D’altra parte, «la vita è vocazione all’Amore, che è Dio stesso. È nella comunione con Dio che consiste la pienezza della vita dell’uomo. Si realizza attraverso la comunione con gli altri uomini e questa comunione dà, già da ora, una caparra che sarà la gioia senza fine quando saremo ammessi a goderne in un modo straordinario, inesprimibile adesso», come sottolinea padre Pino Puglisi.
Insomma, attraverso il volume di Tarallo, si riscopre la preziosità della comunione dei santi, mirabilmente esemplificata dalla risposta di santa Teresa di Lisieux morente. Alla domanda della consorella: «Ci guarderete dall’alto, non è vero?», la stessa replicò: «No, scenderò».
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana