La vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane rappresenta senza dubbio un sospiro di sollievo per quanti si battono per la tutela del diritto alla vita negli Usa. Anche perché quella della candidata democratica Kamala Harris è stata una campagna ideologica imperniata fortemente e con toni particolarmente accesi proprio sul presunto “diritto” all’aborto.
È noto infatti che la Harris si batta per la possibilità di aborto fino alla nascita nell’intero Paese, compresa la possibilità di aborti tardivi nel settimo, ottavo e nono mese di gravidanza, arrivando persino a elogiare i tentativi di chi si adopera per far chiudere i centri di assistenza alla gravidanza e aiuto alla vita che forniscono un vero supporto alle donne e alle famiglie in difficoltà.
Proprio in tal senso, oltre al voto per decidere il prossimo presidente degli Stati Uniti d’America, in alcuni Stati Usa si è votato anche per dei referendum sull’interruzione di gravidanza, segnando in alcuni casi delle vittorie. Per esempio in Florida – governata dal repubblicano Ron DeSantis – dove il referendum è stato un vero e proprio flop, poiché non è stato raggiunto il quorum del 60% dei voti necessari rispetto al famigerato “emendamento 4” che avrebbe voluto concedere la possibilità di abortire oltre le sei settimane, facendo così decadere il termine previsto dal divieto attualmente vigente. Lo stesso governatore si è detto soddisfatto anche perché gli abitanti della Florida hanno espresso parere contrario anche rispetto alla legalizzazione della marijuana per uso ricreativo.
Purtroppo in Arizona – Stato governato dai democratici – un emendamento simile è stato invece accolto e ha vinto il ‘sì’ al referendum, per cui alle madri incinte si concede la possibilità di abortire fino a 24 settimane di gravidanza, laddove l’attuale normativa dello Stato ne prevedeva la possibilità fino alle 15 settimane.
In tutto sono stati dieci gli Stati che hanno chiamato i cittadini alle urne per un referendum per esprimersi sul presunto “diritto” all’aborto. Appunto in Florida ma anche in Nebraska e Sud Dakota sono stati bocciati dai cittadini gli emendamenti costituzionali per estendere la legislazione pro-aborto, mentre in in Colorado, Maryland, Nevada, New York, Montana, Arizona e Missouri il quesito referendum è invece stato approvato e quindi da ora sarà consentito che il diritto all’aborto possa rientrare a pieno titolo nella Costituzione del singolo Stato, alla stregua del vergognoso esempio francese.
Insomma belle notizie – dalla Florida, dal Nebraska e dal Sud Dakota – ma anche novità meno positive. Ecco perché si auspica che – con Trump alla Casa Bianca e ormai a oltre due anni dalla sentenza Dobbs della Corte Suprema che ha rovesciato la storica sentenza abortista Roe vs Wade – tutti i singoli Stati adottino leggi che tutelino maggiormente il diritto alla vita del bimbo in grembo, che è l’unico e fondamentale diritto che conta, insieme chiaramente alla tutela della vita della madre. L’aborto, infatti, non è mai un ‘diritto’ ma sempre un delitto con ricadute tragiche anche sul piano della salute fisica e psicologica della madre, come documentano ampiamente le più recenti ricerche e acquisizioni scientifiche in materia sui suoi effetti.