Graham Greene (1904-1991) è un «incredulo cristiano» consapevole delle proprie fragilità al punto tale da sperare che, pur non sentendo molto la presenza del Padre, «Dio gli stesse sempre alle calcagna». All’autore de Il potere e la gloria il giornalista e scrittore Fulvio Fulvi dedica un’appassionante biografia Graham Greene. Il tormento e la fede (Ares 2023, pp. 203). In essa vi si racconta l’evento centrale per la sua conversione alla fede cattolica, ossia l’innamoramento per Vivienne; ma c’è spazio anche per ripercorrerne i viaggi nei paesi del Terzo Mondo come agente dell’MI6 (i servizi segreti inglesi), l’incontro con papa Paolo VI, la devozione per san Pio da Pietrelcina, l’amicizia con Mario Soldati e il rapporto fraterno con padre Leopoldo Duràn, accorso in Svizzera perché egli potesse ricevere i sacramenti sul letto di morte.
Nei 54 libri pubblicati tra il 1929 e il 1991 ha raccontato storie di uomini in fuga, quasi sempre tormentati da una ‘colpa’ e attratti da un destino che li avvolge come in un turbine. Nelle sue storie si incrociano e scontrano costantemente bene e male, peccato e grazia, fede e mancanza di fede; ci sono continui colpi di scena per cui nulla è come sembra. Egli è sempre però dalla parte delle vittime di soprusi e ingiustizie, di chi ha combattuto tra gli anni Trenta e Ottanta del Novecento per il riscatto sociale. Inviato speciale per Sunday, Telegraph, Times, Life, Paris Match, ha realizzato diversi reportages in contesti di guerra, documentando tra le altre la rivolta dei Mau-Mau del 1953 in Kenya, oltre a quelle di Haiti, Panama, Vietnam, Cuba, Sierra Leone e Malesia.
«Scrivo perché vivo», ama ripetere. Incontra la fede cattolica nei libri di Newman, ma più che le letture sono gli incontri con i testimoni autentici di Cristo a ricondurlo nell’ovile della Chiesa. Greene, infatti, «aveva bisogno innanzitutto di riconoscere la Sua presenza dentro una realtà vissuta, di sperimentare un senso dell’umano anche di fronte al dolore e alle prove più dure della vita, aldilà delle regole e di un certo conformismo religioso». Di qui egli ritiene che «San Tommaso Didimo dovrebbe essere il patrono della popolazione del mio Paese perché a noi occorre vedere l’impronta dei chiodi e mettere la mano dentro le ferite, prima di poter comprendere».
Una fede inquieta, dunque, quella di Greene, alla stregua del rapporto amoroso contraddittorio con Vivienne che, dopo un corteggiamento asfissiante, diventa sua moglie e gli dona due figli. Egli poi la tradisce con numerose amanti, pur rimanendo sempre profondamente legato a lei come al primo amore.
L’agnostico giornalista proveniente da una famiglia di tradizione calvinista conosce la cattolica Vivienne dopo che lei gli lascia un biglietto in una busta per sottolineargli un’imprecisione contenuta in un articolo relativamente alla venerazione che si deve alla Vergine Maria. Greene coglie il lato costruttivo della critica e vuole conoscere la donna che ha firmato quel biglietto. Raccoglie informazioni su di lei, viene a sapere che lavora in libreria, fa in modo di incontrare la giovane ventenne e, piuttosto sfacciatamente, la invita subito al pub. Invaghitosi di lei, quando le possibilità d’incontro diventano più rare, la tempesta di lettere d’amore supplicandola in tutti i modi di sposarlo, ma ella non vuole proprio saperne, almeno fintanto che lo scrittore inglese non fosse diventato cattolico. Fu infatti proprio la grande fede di lei a contribuire a riportare Greene in chiesa per riscoprire, attraverso il catechismo dagli oratoriani di Brompton, la bellezza del cattolicesimo. Di qui, dopo essersi battezzato, è pronto finalmente – questa volta con un’arma in più e decisiva – a chiederle ancora di sposarlo, ottenendo davanti a Dio il suo consenso il 15 ottobre 1927. Nel 1933 e nel 1947 nascano i loro due figli, ma l’anno successivo i coniugi si separano senza però mai divorziare perché «il matrimonio è un sacramento», sostiene Greene. Le cause sono da ricercarsi nella sindrome maniaco-depressiva di cui lo scrittore soffre, che lo spinge a numerose infedeltà anche con prostitute. Vivienne, invece, gli rimane fedele firmandosi come la ‘Signora Greene’ anche da vedova.
A lei egli dedica il romanzo che lo consacra come autore, Il treno di Istanbul, una sorta di thriller psicologico, nel quale scandaglia l’animo dei personaggi nel contesto sociale delle tensioni provocate da nazismo, odio razziale e guerra. Da esso sarà poi tratto anche il film Orient Express, come per molti altri suoi romanzi. Dal carattere e dai comportamenti di tanti suoi personaggi, compreso il prete beone de Il potere e la gloria, è possibile desumere molto della vita dello scrittore inglese. Greene si perde nei suoi personaggi al punto che, come egli stesso ammette, «tutto quello che potrei dire o scrivere su me stesso sarà meno rivelatore dei miei libri».
Devoto di padre Pio ne porta sempre con sé due immaginette nel portafoglio. Relativamente al frate cappuccino osserva: «Mi instillò il dubbio sul mio scetticismo».Uomo pieno di contraddizioni anche in ambito ecclesiale, scrive libri che rischiano sotto certi aspetti di finire all’Index e nel contempo è amante della liturgia tradizionale in latino.
Dalla biografia di Fulvi, che si legge piacevolmente come un romanzo, emerge tutta la potenza espressiva dell’opera dello scrittore inglese che, per dirla infine con Moeller, «altro non è che un commento alla parola divina: non giudicate. Non giudicate il mondo che vi sembra abbandonato da Dio, perché esso è abitato da Dio. Non giudicate la sconfitta di Dio, calpestato nelle sue istituzioni che vengono abbandonate al demonio, deriso nella debolezza dei sacramenti: la potenza e la gloria di Dio vi sono presenti». D’altra parte, come afferma lo stesso Greene, «la misericordia la puoi raccontare nei preti beoni e fornicatori, non nelle persone virtuose».
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana