Le complicanze legate all’aborto sono maggiori di quanto raccontino i dati. Lo rivelano anche alcune indagini recenti basate sulla comparazione dei numeri ufficialmente comunicati dai diversi enti del sistema sanitario inglese sul tasso di abortività e le sue ricadute in Gran Bretagna.
Nell’arco di cinque anni, dal 2017 al 2021, il tasso medio di complicanze abortive era di 1,52 per 1.000 aborti utilizzando i dati derivati dall’Abortion Notification System (ANS) ufficialmente riportati nelle statistiche annuali sull’aborto. La revisione ha però rilevato che il tasso medio di complicanze abortive nello stesso periodo, utilizzando i dati registrati dal sistema ospedaliero (HES), era di 4,06, ossia oltre 2,6 volte superiore al dato ufficiale. I dati HES comprendono infatti anche gli aborti incompleti, il cui tasso di complicanze è molto alto, pari in valore assoluto a 18,16 su 1.000 aborti.
Tra le complicanze legate all’aborto più comuni si ritrovano emorragia (65,8%), sepsi (11,4%) e lacerazione cervicale (11,1%), stando ai dati ANS; emorragia ritardata o eccessiva (81,4%), altro e non specificato (10,6%), infezione del tratto genitale e pelvico (8,0%) ed embolia,stando ai dati HES.
Un altro dato paradossale è costituito dal fatto che per le donne sotto i 20 anni, il tasso di complicanze segnalato dall’HES è 4,43 volte superiore al tasso di complicanze registrato dall’ANS. Di qui, quando l’analisi dei dati HES include anche l’aborto incompleto, per i minori di 20 anni il tasso di complicanze dell’HES risulta ben 17,43 volte superiore a quello rilevato dell’ANS.
Un dato facilmente intuibile è invece legato alle fasi gestazionali. Il tasso di complicanze per gli aborti che avvengono tra le 10 e le 12 settimane rispetto a quelli tra le 2 e le 9 settimane è 18,33 volte più alto. Rispetto al tasso più basso (2-9 settimane) quello per le complicanze dovute ad aborti tra le 13 e 19 settimane è 110 volte superiore,arrivando a 160,33 volte superiore a quello relativo agli aborti a 20 settimane.
Tra l’altro tali dati restano piuttosto lacunosi, dal momento che non registrano le eventuali complicazioni insorte dopo le dimissioni dall’ospedale, quando ormai il modulo col riferimento all’aborto effettuato è già stato debitamente compilato e inviato al Dipartimento di sanità e assistenza sociale (DHSC). Un altro dato mancante ma fondamentale è quello relativo alle complicazioni conseguenti a un ‘aborto fai-da-te’ domiciliare, il quale è tanto più allarmante se si pensa che in diverse occasioni il British Pregnancy Advisory Service ha inviato pillole abortive alle madri in gravidanza, come accaduto alla madre di Lily quand’era a 32 settimane di gestazione.
Le complicanze legate a un aborto possono essere non solo e soltanto fisiche, ma anche soprattutto psicologiche. Relativamente alle sindromi postabortive, infatti, un’analisi di dati pubblicata nel numero di ottobre di BMC Psychiatry – nella quale sono stati comparati i dati provenienti da 15 studi che hanno coinvolto 18.207 donne sul post-aborto in tutto il mondo – rileva che una donna su tre soffre di grave depressione dopo un aborto. Già diversi studi precedenti avevano evidenziato in effetti come la depressione postabortiva fosse all’82,1% nei paesi ad alto reddito e al 74% nei paesi meno ricchi. Rispetto ai Paesi in cui tale sofferenza psicologica è più elevata, la nuova indagine mostra come il tasso medio di depressione dopo un aborto volontario vari poco da continente a continente, con il livello più alto in Asia (37%) e il più basso in Europa (33%).
Anche la dimensione economica incide in maniera significativa su tale stato psicologico: dopo un aborto nelle nazioni a reddito medio-basso sono stati riscontrati livelli più alti di depressione (43%) per le madri, mentre nelle nazioni ad alto reddito livelli più bassi (25%).
L’insorgenza di tale sindrome testimonia ulteriormente come «l’aborto vada contro la natura stessa della donna. Dal momento del concepimento del figlio in poi la vita di una madre esisterà sempre in relazione a suo figlio. La scienza lo dimostra molto chiaramente», ha dichiarato al Washington Stand Mary Szoch, direttrice del Centro per la dignità umana del Family Research Council. Basti ricordare in proposito soltanto il microchimerismo fetale-materno, il mirabile fenomeno per cui le cellule che un bimbo in grembo dona alla sua mamma le rafforzano il sistema immunitario anche dopo il parto.