Chi sono i migranti? Sono ospiti o nemici? La distinzione tra ‘migranti economici’ e ‘rifugiati’ rende giustizia della complessità del fenomeno migratorio o è piuttosto riduttiva? Senza dubbio “la tendenza a lasciare il proprio paese è uno dei contrassegni sociali primari della modernità”. Eppure, al di là delle strumentalizzazioni politiche di sinistra o di destra, la “Grande Migrazione si caratterizza per l’elevato numero delle persone coinvolte; la presenza di mafie che gestiscono il loro movimento lucrando; la sciatteria, tolleranza e indolenza con cui i paesi europei (in questo caso, l’Italia) hanno risposto al flusso, senza capirne la natura né elaborare una posizione autorevole, ferma e decisa; la violenza con cui si pretende di risolvere un problema che la negligenza ha lasciato marcire; la mancanza di linea di condotta, sia al momento di ospitare sia al momento di sgomberare; il brusco, ancorché tardivo, passaggio da una politica di distratto sinite parvulos a una di risposta dura ma inefficace”.
Sono questi solo alcuni degli aspetti della Grande Migrazione (che considera i flussi dal 2005 a oggi) indagati attraverso un’analisi molto puntuale da Raffaele Simone – docente emerito dell’Università di Roma Tre e linguista di fama internazionale – ne L’ospite e il nemico (Garzanti, pp. 274). Il suo saggio “si occupa del modo in cui l’Europa la ricevette e dell’effetto sociale, culturale e politico che potrebbe derivare dall’impatto”, nella lucida consapevolezza di “dover calpestare il ‘politicamente corretto’”, a partire dal diffuso ‘obbligo morale dell’accoglienza’ quale modus operandi di un’Europa desiderosa di farsi perdonare il proprio passato colonialista. Allo stesso modo, data la complessità del fenomeno migratorio, Simone tiene a precisare che “essere ‘pro o contro’ la Grande Migrazione non ha senso: sarebbe come essere ‘pro o contro’ un’inondazione o una tempesta di neve che stanno seppellendo le nostre case. È molto più assennato cercar di capire che cosa è, cosa significa e cosa comporterà, e organizzare risposte adeguate prima che a fornirle siano i fatti”.
Mediante un significativo excursus storico, egli rileva come “nell’antichità l’ospitalità era riconosciuta, ma soggetta a restrizioni. Come il ghēr giudaico, infatti, lo straniero di stirpe greca poteva godere nella pólis di alcuni privilegi: poteva commerciare, usare pascoli, possedere immobili e terreni, sposare una donna attica. Gli stranieri non-greci erano invece bárbaroi, non solo perché le loro lingue erano incomprensibili, ma anche perché potevano esser fatti schiavi, anzi erano ‘schiavi per natura’”. Allo stesso modo se Sparta disponeva regolarmente espulsioni di stranieri per evitare gli effetti destabilizzanti della loro presenza in città; Atene, invece, permetteva loro di vivere come meteci, i quali “non partecipavano alla vita politica, erano tenuti a pagare una tassa e a svolgere il servizio militare e potevano, su decisione della comunità, sposarsi e avere proprietà, ma questo diritto era concesso solo di rado, per evitare di favorire l’integrazione etnica”.
Rispetto al fenomeno migratorio si assumono oggi preventivamente, invece, almeno due posizioni ideologiche fondamentali. La prima è l’opzione dell’‘Europa colpevole’ secondo cui l’immigrazione sarebbe la risposta tardiva a secoli di politiche coloniali nei paesi più poveri. Eppure “se al movimento migratorio contribuissero tutte le aree interessate dal colonialismo sarebbe molto più ingente”. Secondo i sostenitori di questa tesi, i migranti “non solo sono titolari di speciali diritti di risarcimento, ma sono anche intrinsecamente onesti, portatori di virtù, miti e pronti a cooperare. È quasi – si direbbe – una riedizione della concezione del ‘buon selvaggio’. La seconda, conseguente alla prima, è quella della Grande Sostituzione, secondo cui si vuole che si riversino “in Europa milioni di persone povere e affamate, cariche di risentimento e di desiderio di risarcimento. Si realizzerà così un graduale rimpiazzo dell’intera popolazione europea coi nuovi arrivati. In questo modo il mondo islamico, africano e asiatico otterranno una rivalsa totale sull’Europa e l’Occidente, di cui cancelleranno poco a poco ogni traccia”. E in effetti, con i trattati di Schengen e di Dublino, “il migrante viene considerato come semplice straniero, e quindi incluso nelle dinamiche di libera circolazione previste per i cittadini europei, esprimendo di fatto un atteggiamento mite e umano, emozionale e irenico” nei suoi confronti. Di qui, “nel tentativo di risarcire in termini giuridici e politici le atrocità di un secolo e mezzo, si è diffuso un senso di ospitalità universale, un’accoglienza pacifica e gratuita perché a carico dei paesi ospitanti”, che ha cancellato di fatto ogni confine e lo stesso concetto giuridico di frontiera.
L’elemento di maggiore drammaticità risiede nel fatto che “l’Europa si fece trovare del tutto impreparata – prosegue il professore nella sua analisi –, anzi impostò una politica di breve termine destinata però ad avere conseguenze e ripercussioni a lunghissimo termine”. Al contrario, la Grande Migrazione avrebbe potuto costituire un’occasione proficua per riflettere con serietà sulla propria identità europea. Eppure, come osservò acutamente lo storico tedesco Hagen Schulze, “l’Europa diventa un motivo di identificazione solo quando ha a che fare con un nemico avvertito come totalmente ‘altro’; l’opposizione fondamentale è sempre tra ‘libertà europea’ e ‘dispotismo barbaro’. Con l’allontanarsi della minaccia, il concetto di Europa scompare”, per ritrovare la propria dimensione unitaria solo quando si tratta di far quadrare i conti sul piano economico e finanziario.
Ma perché, tra tutti i Paesi, i migranti scelgono di venire in Europa e in particolare in Italia? Senza dubbio perché “il suo welfare è universale e gratuito; per la speranza di arrivare a godere dei vantaggi di un ambiente che trovano già costruito e funzionante”, inseguendo un desiderio d’Occidente, che è quello “di possedere e condividere quella che è rappresentata e ovunque vantata come l’agiatezza occidentale” (Badiou).
Sono allora principalmente questi fattori, ossia “bisogno di nuova verginità, orrore delle colpe coloniali, desiderio di risarcirle, teoria dell’inclusione illimitata e della diversità”, a delineare i tratti salienti di quella che il professor Simone definisce Ideologia Europea. In questo modo il Club Radicale ha diffuso e imposto quel ‘politicamente corretto’ che, insieme alla dottrina terzomondista, ha coniato un nuovo linguaggio giuridico e mediatico che impedisce di vedere e comprendere integralmente il fenomeno migratorio, anzi favorisce un’inversione di valori per la quale “tutto ciò che è occidentale è deplorevole, sorpassato, privo di energia, a confronto con la forza vitale e l’attrattiva culturale che promanano dal Terzo Mondo, sia orientale sia occidentale”. Le dichiarazioni di ministri svedesi sull’inconsistenza della propria cultura; l’abolizione di presepi, canti natalizi e carne di maiale dalle mense scolastiche nel nostro Paese, sono solo un pallido esempio di tale odio di sé e delle proprie radici culturali e religiose, che presenta nel multiculturalismo il proprio rovescio della medaglia. Infatti, se tra comunità diverse non ci si parla e non ci si confronta per condividerne eventualmente valori comuni, “ciascuna finisce per auto-ghettizzarsi, sia per timore di contatti con la comunità locale, sia per affermare il proprio controllo sul territorio”, producendo di fatto un ‘monoculturalismo plurimo’(Sen) di cui le banlieue francesi sono una chiara espressione.
In realtà una politica europea incapace di lungimiranza si trova sempre a dover gestire ‘emergenze’, perché ha scelto, al contrario, una prospettiva dello sguardo corto, consolidata ormai nella cronaca quotidiana dei media, che si limita a “contare i morti, pubblicare fotografie strazianti di bambini in lacrime o morti nelle traversate, il racconto dei soccorsi, dei salvataggi e dei naufragi”. Tale narrazione, pur essendo profondamente umana e toccante sul piano emotivo, rimane in superficie e tace intenzionalmente sulle motivazioni ideologiche del fenomeno migratorio ben approfondite dal professor Simone che, in questo saggio, smaschera anche le bugie dei luoghi comuni più diffusi quali ‘gli immigrati salveranno l’Europa dal calo demografico’; ‘siamo tutti migranti’; ‘siamo tutti meticci’ o ‘le frontiere non esistono’. Senza questa necessaria decostruzione diventa impossibile individuare, al di là degli slogan, una strada percorribile, condivisa e duratura per gestire la Grande Migrazione, che abbia davvero a cuore il destino di ogni uomo costretto a lasciare la propria terra in modo disumano.
Fonte: La NuovaBussolaQuotidiana