«Giuseppe è il custode dei misteri divini, il più nascosto dei Santi, unico nella grazia e nell’ufficio, il più vicino a Maria, l’ombra dell’Eterno Padre. E Giuseppe adorava con fede, umiltà ed amore; amore umile, amore tenero, amore paterno. Giuseppe prostrato ginocchioni, le braccia tese, gli occhi sfavillanti, il petto ansante per l’emozione contempla e adora». In queste parole, tratte dagli scritti del Venerabile Padre Felice Prinetti, è racchiuso il cuore della profonda devozione al Santo Patriarca del fondatore delle “Figlie di San Giuseppe di Genoni”, prima congregazione femminile interamente sarda.
Nato a Voghera il 14 maggio 1842, terzogenito di sei in una famiglia cattolica che dona tre sacerdoti alla Chiesa, Felice Prinetti si arruola nell’esercito piemontese, ingegnere e «capitano d’artiglieria decorato nella terza guerra d’indipendenza rinucia a prendere a cannonate il papa nel 1870 e ai roboanti proclami risorgimentali e ai lustrini dei salotti preferisce il silenzio raccolto della preghiera, al posto della distruzione in nome della patria sceglie il concreto aiuto al prossimo in nome di Dio» (R. Cammilleri, Ufficiale e sacerdote, San Paolo 20002). Accusato di bigottismo, di infangare la divisa facendosi sorprendere col Rosario tra le mani in processione, sceglie di abbandonarla. Suo fratello don Giacomo «aveva messo gli amici a pregare San Giuseppe» per la vocazione di Felice al sacerdozio.
Animato dal desidero di servire la chiesa con maggiore fedeltà, Felice entra negli Oblati di Maria Vergine. Il 20 settembre 1888, proprio nell’anniversario della Breccia di Porta Pia, grazie alla collaborazione con la signora Eugenia Montixi – una vedova pia che dopo la morte prematura della figlia decide di consacrarsi – fonda nel ‘sud del sud’ d’Italia le “Figlie di San Giuseppe di Genoni” (dal nome del paese della diocesi di Oristano, dove acquista una casa rilevando un’azienda agricola che diviene la Casa Madre dell’Istituto), al fine di contribuire principalmente, mediante il loro servizio, alla formazione dei futuri sacerdoti, imitando l’operosità nascosta e silenziosa del Santo Patriarca. Cominciano facendo con amore le pulizie in Seminario perché di questo vi è esigenza. D’altra parte hanno quale direttiva del proprio carisma il «preferire sempre, salva l’ubbidienza, gli uffici più bassi, nascosti, mortificati».
E probabilmente è proprio San Giuseppe a salvare la vita a don Prinetti. Un giorno d’estate di caldo asfissiante, Padre Felice siede sulla sua sedia dopo pranzo. Un giovanotto bussa alla porta chiedendo urgentemente di lui e, mentre corre verso l’uscio non scorgendo nessuno, crolla il soffitto della stanza dove era fino a un attimo prima.
In una lettera alla sue figlie spirituali Padre Prinetti scrive: «Io desidero che vi ricordiate che San Giuseppe è il vostro modello nel servire Gesù e Maria; egli li servì nel silenzio, nella preghiera, nel lavoro. San Giuseppe tace e vive oscuro e ignorato nella sua bottega. Ma era con Gesù e Maria! E viveva unito a Dio con la più continua preghiera e lavorava per insegnarci a fuggire l’ozio». Padre Prinetti ritiene che i gradi dell’amore di Dio siano tre: «Pensare a Lui, operare per Lui, soffrire per Lui. Il terzo comprende i primi due, e questo solo trasforma pienamente ad immagine di Gesù Cristo».
Egli invita perciò le suore ad avere San Giuseppe quale modello di riferimento per la propria vita interiore tra contemplazione amorosa e generoso servizio di Cristo nei fratelli: «Giuseppe! L’esercizio della sua autorità che altro è se non la pratica della sublime obbedienza? La sua anima piena di adorazione, scende negli abissi dell’umiltà, mentre la sua larga mano guida la tenera mano del giovinetto a qualche lavoro e il suo sguardo interiore lo mira risplendente di gloria e la sua fede lo riconosce e adora Onnipotente Creatore!». Di qui padre Prinetti le esorta: «Entrate nelle vie del Signore e vedrete che l’andare avanti non vi sarà grave». Le Figlie di San Giuseppe sono chiamate all’obbedienza quotidiana alla volontà del Padre, proprio come accade nella stessa Santa Famiglia, ove «si opera la salvezza del mondo» anche nello spirito di Giuseppe, ossia «nell’umiltà, nell’oscurità, nella solitudine, nella vita interiore». D’altra parte, scrive ancora il santo sacerdote, «il Regno di Gesù Cristo è tutto interiore: consiste nello escludere dall’anima ogni altro spirito e giudicare, amare, operare in conformità a Gesù», il quale «spazzava la casa, andava con la madre alla fonte ad attingere acqua, faticava nel duro mestiere del falegname, ripuliva le stoviglie, l’Onnipotente, Signore del creato».
E in effetti è bene che soprattutto un’anima consacrata a Dio coltivi tale fedeltà nel vivere con amore quanto le accade quotidianamente proprio come San Giuseppe, in quanto «con la perfezione delle piccole cose rendiamo un più profondo omaggio a Dio, perché si richiede motivo più puro, fede più viva. L’esiguità, la noncuranza degli uomini, l’apparente facilità ci lasciano soli dinanzi a Dio. La perfezione delle piccole cose costa di più, merita di più. Non c’è pericolo d’orgoglio, non vi è soddisfazione». Agendo in questo modo la grazia di giungere alla meta della santità è certa, nella misura in cui «facciamo con perfezione crescente i doveri comuni del nostro stato, impiegando i mezzi che ci sono dati», perché «la vita è bella quando è via al Cielo».
Con oltre trecento suore distribuite in sessantasei case tra Italia, Africa, India, Brasile e Argentina, il carisma di padre Felice Prinetti continua a vivere in ospedali, asili, scuole, collegi, case di riposo, istituti di assistenza al clero, frutto della carità operosa e silenziosa delle Figlie di San Giuseppe.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana