«Pietro Nolasco, un commerciante, un mercante, un uomo benestante, a un certo punto della sua vita guarda e vede. Vede la sofferenza inumana di uomini ridotti in schiavitù, perseguitati per la loro fede. E cosa fa? Fa più del samaritano, non solo si ferma, non solo riscatta con i soldi che guadagna un gran numero di schiavi, ma mette la sua stessa vita a rischio e fonda un ordine religioso, i mercedari, che, nel caso i soldi del riscatto non arrivino in tempo o non bastino, intervengono con la propria vita pagando con il proprio corpo la somma pretesa dai “mori”».
Così scrive Angela Pellicciari nella prefazione alla gloriosa storia dei mercedari raccontata nel recente saggio Mercanti di anime (Fede e Cultura 2023, pp. 261) di Maria Bianca Graziosi, docente di Storia del Monachesimo a Verona.
Fondati all’inizio del Duecento da Pietro Nolasco nello spirito della Reconquista spagnola e nel segno di Nostra Signora della Mercede, i mercedari si sono da subito dedicati al riscatto e alla redenzione di chi cadeva schiavo del potere islamico, con l’obiettivo di salvare le anime che rischiavano di rinnegare la fede e perdere così la salvezza eterna. Per i musulmani ridurre in schiavitù i cristiani era un’attività economica particolarmente redditizia, cui provano a porre un argine i padri mercedari, compiendo innumerevoli opere di liberazione, anche a costo della libertà e della propria stessa vita offerta in contraccambio.
Quelle fondate da Pietro Nolasco (1180-1265) sono dunque missioni di redenzione, in quanto i mercedari professano come quarto voto quello di «offrire la propria vita in cambio di prigionieri in pericolo di perdere la fede». Tali missioni si concludevano con processioni solenni in onore della misericordia divina e hanno contributo a liberare 52000 schiavi cristiani nei primi 130 anni di vita dell’Ordine.
Tutto ha inizio quando, nella notte tra l’1 e il 2 agosto, la Vergine appare «con abito candidissimo» a Pietro Nolasco, chiedendogli di fondare un Ordine cha abbia quale opera di misericordia la redenzione degli schiavi. Qualche giorno dopo, il 10 agosto, l’Ordine viene fondato nella cattedrale di Barcellona. A Pietro Nolasco interessa «l’uomo umiliato, mercificato, sfruttato, privato della libertà e dell’identità; lo schiavo che non possiede neanche se stesso è il più povero tra i poveri». Al Nolasco sta a cuore non solo la sorte di tanti fedeli cristiani caduti nelle mani degli infedeli, ma anche quella di quanti venivano rapiti dai pirati saraceni a seguito delle incursioni sulle coste del Mediterraneo.
Coi suoi confratelli si premura di raccogliere elemosine, anche in spezie e beni alimentari, facendo collocare «salvadanai o sacchi nelle chiese, nei crocevia, nelle piazze, nei mulini». La contrattazione, poi, non era cosa semplice: richiedeva la presenza di un interprete, del competente nel cambio e del funzionario del sovrano turco. Se il denaro non bastava i mercedari si consegnavano loro stessi in cambio del prigioniero, in specie per liberare donne e bambini, finché non fosse giunta l’intera somma pattuita. Tra i bambini, coloro che erano destinati a diventare la milizia personale del Sultano, ossia i giannizzeri, non potevano essere riscattati. «La mia vita per la tua libertà» è il nobile motto dell’Ordine. Talvolta quando il denaro si perdeva, perché magari un carico faceva naufragio, il mercedario veniva ucciso in segno di vendetta.
Bernardo di Corbara consegna l’abito a Maria de Cervellòn per cui, intorno alla metà del 1200, viene fondato il ramo femminile dell’Ordine che non ne esclude l’apostolato attivo. Attualmente i monasteri di mercedarie sono presenti solo in Spagna. Il primo santuario mariano d’America viene fondato a Santo Domingo nel 1514 ed è dedicato proprio alla Vergine della Mercede.
In una relazione dei padri mercedari del 1678 si racconta di una spedizione ben riuscita ad Algeri, in cui l’autore fa notare che se le leggi locali obbligano a curare gli animali feriti o ammalati, i padroni dei cristiani possono fare quello che vogliono di quanti sono loro ‘proprietà’. Oltre a colpirli con le corde «li attaccano al giogo delle carrette e li obbligano, a forza di colpi, a trascinare calce, sabbia, pietre per le loro costruzioni». Nella stessa relazione si racconta anche di una bambina che il padrone turco custodiva gelosamente per darla in sposa a suo figlio. Purtroppo però, poiché il figlio muore prematuramente, il padrone la chiama “cagna” e le ripete che meglio sarebbe stato se fosse morta lei. Federica viene riscattata dietro pagamento di 440 scudi. Lo sappiamo in quanto in ogni elenco i mercedari annotano nome, età, origine, anni in schiavitù e costo per la libertà dei prigionieri. L’ultimo di tale lista è un trentenne di Milano, la cui liberazione è costata 205 scudi.
Tra i prigionieri illustri a esser catturati anche San Vincenzo de’ Paoli, prigioniero dei pirati turchi durante il viaggio da Marsiglia a Narbona, e Miguel de Cervantes, «catturato dai corsari turchi nel 1575 e portato ad Algeri dove restò cinque anni».
L’Ordine di Santa Maria della Mercede è una realtà prevalentemente spagnola; in Italia si diffonde a Cagliari, Napoli, Palermo, poi a Roma. Oggi svolge la sua attività nelle carceri, nell’impegno per i rifugiati e nell’evangelizzazione missionaria per realizzare la liberazione dalle nuove forme di schiavitù economica e sociale in specie nei Paesi in via di sviluppo e nelle zone di maggiore emarginazione.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana