«Ciò che rende mistica una vera religione, in un senso molto più tremendo, è la sua pretesa (vera o falsa che sia) di custodire una bellezza che è più bella di qualsiasi altra bellezza noi abbiamo mai conosciuto, oppure un male più malvagio di tutti i mali. E questo dà un altro tipo di intensità alle cose comuni, dentro il suggerimento di qualcosa che è più rosso del rosso, più bianco del bianco». In queste poche righe Chesterton evidenzia quanto la mistica sia strettamente legata all’amore per la realtà, allo stupore dinanzi alle cose che esistono. Il gusto per le cose, l’educazione, la misura tra il fine e i mezzi, il valore della storia, la relazione tra identità e dialogo, i mezzi di comunicazione sono alcuni dei temi messi a fuoco da Chesterton in articoli e saggi significativi ora raccolti nel volume Giovani idee. La felicità di pensare (Ares 2023 pp. 184).
Relativamente al significato ambiguo dell’espressione “tempo libero”, Chesterton sottolinea che «la libertà di un artista sta nel dare liberamente forma a un’immagine con qualsiasi materiale egli scelga; ma chiunque provi a tirare fuori qualcosa da una qualsiasi materia scoprirà presto che non è per nulla un passatempo allegro e spensierato». Di qui tale espressione può alludere secondo i casi «all’avere il permesso di fare qualcosa; ad avere il permesso di fare qualsiasi cosa; e la terza (forse la più rara e la più preziosa) ad avere il permesso di non fare nulla».
Riguardo al tema che un bambino possa scegliere da solo, una volta divenuto grande, la propria religione, atteggiamento molto diffuso anche attualmente, Chesterton precisa con chiarezza: «In nessun caso la persona adulta può sfuggire alla responsabilità di influenzare il bambino, neppure se accettasse l’enorme responsabilità di non influenzarlo. Una madre può crescere il suo bambino senza scegliere una religione per lui, ma non senza scegliere per lui un ambiente. Se lei sceglie di escludere la religione, sta scegliendo un ambiente, peraltro un ambiente tetro e innaturale come l’inferno».
Chesterton critica la visione pessimistica buddista cui fa da contrappunto quella realista di matrice cristiana. In effetti, ricorda lo scrittore londinese, «nella prima delle quattro nobili verità del buddismo ci viene ricordato non solo che gli eventi che attendono in maniera inevitabile ogni cosa che vive (la nascita, il decadimento, la malattia e la morte) sono dolorosi, ma che le condizioni stesse dell’esistenza personale sono cariche di sofferenza. Quando un santo cristiano sanava un paralitico, partiva dal presupposto che le gambe sono una legittima soddisfazione. Quando un ospedale cristiano cura un uomo malato, lo fa partendo dall’ipotesi che, potenzialmente, la vita è un piacere». Su questa scia decostruttiva l’ideatore di padre Brown definisce senza mezzi termini il materialismo quale «volto più fangoso dell’ateismo. Esso muove dal presupposto oscuro che tutto inizi con la digestione e non con la ragione divina; che si debba, perciò, sempre partire dal fine materiale se si vuole scoprire l’origine delle cose. Nella sua filosofia rovesciata e senza destino, la digestione è il creatore e la divinità la creatura. Nei meandri della sua mente ha un’unica idea: che non ci sia veramente nulla nelle profondità dell’intelletto al di fuori di quella cosa brutale chiamata corpo». Di qui il monito a scrutare la realtà con intelligenza aperta e profonda: «Stiamo attenti a non cadere mai nella presunzione di credere che non esistano vette che non valga la pena scalare».
Nell’elogio della cena consumata in famiglia a casa, Chesterton denuncia invece la consuetudine per genitori e figli di cenare fuori, un’abitudine disgregatrice che si sarebbe poi ulteriormente diffusa: «Non hanno alcuna idea dell’essenza originale della famiglia. Vorrebbero modificare la famiglia eterna nella moda di una industria temporanea e, allo stesso modo, vorrebbero cambiare l’eterna festa del banchetto domestico nella moda di un tavolo prenotato al ristorante per qualche ora».
Infine, relativamente al mistero del Natale del Signore, Chesterton evidenzia che si tratta di una data che è segno di «concentramento e stabilità; non è una festa mobile, non cambia, non muta». Egli constata con amarezza come per tanti il Natale sia diventato «soltanto una festa pagana, vorrà dire che osserveranno come fanno i pagani. Eppure – auspica ancora con speranza lo scrittore londinese – credo che la gran parte di loro continuerà a rispettare forme che non possono essere spiegate. Celebreranno il giorno di Natale con doni di Natale e benedizioni di Natale; e continueranno a farlo finché un giorno, all’improvviso, si sveglieranno come da un lungo sonno e, commuovendosi, scopriranno il perché».
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana