“Non sono i nostri sforzi a portarci a Dio, ma senza di essi, per una qualche ragione, è impossibile arrivare a Lui”. A mostrare la veridicità di tale affermazione è il romanzo “Entusiasmo” (pp. 412, Vita e Pensiero) del sacerdote e poeta spagnolo Pablo d’Ors, nominato da Papa Francesco anche consultore del Pontificio Consiglio per la Cultura.
Si tratta di un’autobiografia scritta in forma di romanzo; di un “racconto dei cammini da me battuti: come li ho scoperti e percorsi, come ho fatto i miei primi passi per poi alla fine perdermi di nuovo, o come mi sono trovato all’improvviso, senza aspettarmelo, di fronte a un difficile crocevia, totalmente inatteso”.
Così il diciassettenne Pedro Pablo Ros (anagramma del cognome dello stesso autore) è ospite in America di una famiglia tutt’altro che religiosa per uno scambio culturale dove conduce una vita piuttosto dissoluta e comunque lontana dalla fede. Eppure in tale contesto si delineano le condizioni per un’amicizia significativa con il coetaneo spagnolo Salmerón, anch’egli ospitato dalla medesima famiglia americana, che gli testimonia la propria fede e lo invita a pregare insieme a lui.
È questo soltanto il primo di una serie di incontri che costituiranno le tappe fondamentali del suo cammino progressivo di conversione. Rientrato in Spagna, Pablo si reca alle catechesi di padre Aureliano, il quale “era convinto che il cristianesimo fosse intelligibile solo se lo si spiegava a partire dai casi concreti”; quindi si fa seguire nel suo discernimento vocazionale anche da padre Emiliano dell’Opus Dei. In una notte del 22 dicembre sente la propria vocazione percepita “nell’intensità di una Presenza nel buio della mia stanza”, riscopre un senso di “pace e la meravigliosa pienezza” di un Dio con cui egli diventa sempre più familiare mediante la pratica dei sacramenti e in particolare stando in ginocchio dinanzi al tabernacolo, nella consapevolezza che “solo in quello specchio mi avvicino al contempo al mistero di Dio e al mio io”.
Il protagonista confessa dunque di essere ‘un entusiasta’, poiché è consapevole che “c’è Qualcuno che preme dentro di me, e tutto quanto faccio nella vita, assolutamente tutto, obbedisce soltanto al desiderio di farlo uscire”. Sospinto da tale desiderio di servire Dio, Pablo decide di entrare in noviziato nel carisma dei claretiani. Degli anni di formazione gli riscaldano il cuore le estati trascorse al servizio degli ultimi, dai disabili e dagli anziani ai detenuti.
Ma di quegli anni ricorda anche la fatica di resistere alle seduzioni del mondo “perché persino quando sembra sconfitto risorge dalle sue ceneri” e il riconoscimento di aver avuto come docenti diversi teologi preoccupati più di essere ‘moderni’ e al passo coi tempi, leggendo Freud e gli altri ‘maestri del sospetto’, che cristiani.
Egli giudica però criticamente “l’eredità dei preti del ‘68” e nel contempo considera “falsa, riduttiva e inadeguata la lettura rossa del Vangelo”. Divenuto missionario tra i più poveri delle baraccopoli in Honduras, Pablo scopre progressivamente che il suo volersi dedicare ai bisognosi comporta fondamentalmente un ricevere maggiore di quanto egli stesso non riesca a dare.
Nonostante alcuni spunti spirituali interessanti, nel romanzo l’autore indugia morbosamente su descrizioni erotiche con un linguaggio eccessivamente volgare; confessa pensieri inconfessabili, desideri carnali e persino i suoi peccati contro la castità senza pudore. Senza nascondere la sua simpatia per Herman Hesse e l’ammirazione per Gandhi, D’Ors strizza leggermente l’occhio sul piano dottrinale alla ‘teologia della liberazione’ e al modernismo, soprattutto quando scrive che “nella Chiesa abita il germe dell’autodistruzione”, nella misura in cui “l’eterodossia abita in seno all’ortodossia”, sia allorquando invoca una certa ‘flessibilità’ nel modo d’intendere la fede cristiana nel dialogo con le altre fedi.
Fonte: La NuovaBussolaQuotidiana