Pisa, 21 ottobre 1247. «Un grave fatto di sangue è venuto a funestare la già agitata vita di queste contrade e il seme dell’eresia è germogliato fin davanti ai sacri padiglioni!». Si esprime così un vecchio mendicante, ex crociato, al personaggio misterioso che gli dona una moneta d’oro quale obolo di carità. Poi lo stesso gli racconta di Beatrice Sciancati, prostituta il cui cadavere, dal quale è staro asportato i l cuore, è stato rinvenuto in posizione di croce capovolta al centro di un pentacolo con sette candele nere intorno. Questo delitto tremendamente efferato, intorno al quale è chiamato a indagare il domenicano Corrado da Tours è al centro del romanzo L’inquisitore di Rino Cammilleri, pubblicato nella collana Il giallo Mondadori.

A far da sfondo alla vicenda c’è la famigerata Inquisizione alle prese con un presunto caso di stregoneria sul quale indaga Corrado da Tours insieme al suo fido amico ritrovato, Gaddo Casalberti.

Che si tratti eventualmente di un suicidio rituale di matrice catara occorre appurarlo. Fatto sta che l’imputato in carcere, un negromante, teme invece tanto di essere condannato a morte per aver ucciso la vittima, quanto per stregoneria, per cui preferisce tacere per non peggiorare la sua situazione. Tra gli interrogati figurano i familiari della vittima, coloro che hanno trovato il corpo, gli uomini che hanno catturato il negromante, l’amante della donna e lo stesso arcivescovo. Da buon inquisitore Corrado non presume infatti l’innocenza di nessuno e va alla ricerca anche dei dettagli ritenuti più insignificanti senza tralasciare alcun particolare. Egli fa intanto scarcerare il negromante, perché «secondo i decreti dell’Inquisizione nessuno può essere tenuto prigioniero se non ne è stata dimostrata la colpevolezza», né tanto meno si può imbastire un processo se non vi siano almeno tre testimoni.

Nel visitare la città di Pisa a caccia di indizi l’inquisitore domenicano constata che la «cattedrale è un inno a Dio in pietra» e nota come nella chiesa di San Sisto «una ciurma di falliti, di sconfitti, di eterni perdenti, veniva a chiedere l’immensa grazia di poter posare un attimo la croce quotidiana». Nel pregare Corrado confessa a Dio che la croce, «nella quasi totalità dei casi non si capisce, questa storia del nostro bene. Ed è una croce in più»; vorrebbe dal Padre celeste ulteriori lumi sul perché della sofferenza dei giusti, ma non ne riceve. Ma al tempo stesso con grande sapienza spirituale riconosce dinanzi all’amico Gaddo nell’umiltà che «tutto quello che desideriamo, potere, amore, bellezza, pace…sono tutti attributi di Dio. Tutti abbiamo la stessa nostalgia che ci accomuna, lo stesso desiderio di felicità e di infinito. Raggiungere Dio ci sembra troppo difficile. Ci aggrappiamo ai surrogati delle sue perfezioni. Che regolarmente non otteniamo».

Quindi si addentra nelle lotte intestine di potere tra la famiglia filoimperiale dei della Gherardesca e quella guelfa dei Visconti, alla quale appartiene Simone, amante della vittima; approfondisce la dottrina catara e il rito del consolamentum, una sorta di battesimo che rendeva i purificati ‘perfetti’; conosce l’astrologo, alchimista e mago Michele Scoto stranamente alla ricerca del Graal proprio a Pisa.

Tutte tessere che padre Corrado Leclerc è chiamato a mettere in ordine, ricomponendone il mosaico, perché la verità possa giungere finalmente a galla. Il racconto di Cammilleri, ricco di preziosi riferimenti storici e di perle spirituali, è avvincente come ogni buon romanzo giallo, per cui il lettore, simpatizzando in particolar modo con l’inquisitore protagonista, è invitato alla fatica del suo stesso percorso di ricostruzione, nel progressivo e sorprendente disvelamento di una verità intenzionalmente occultata.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

 

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