Chiusi, introversi, con gli occhi fissi sullo smartphone e una relazione con la realtà costantemente mediata dallo schermo, da social e tendenze in rete. Si presenta così purtroppo la stragrande maggioranza dei giovani oggi. E non è questo semplicisticamente soltanto un effetto, previsto eppure troppo sottostimato, della recente pandemia, bensì sostanzialmente l’esito di un orizzonte privo di senso e significato nel quale vivono.
Sono infatti 500.000 gli adolescenti che rischiano di diventare dipendenti da internet – stando agli ultimi dati di Openpolis recentemente diffusi anche in un servizio televisivo del TG5 – e 54.000 gli ‘hikikomori’, ossia i minori che si isolano nella propria stanza al punto da non volere alcun rapporto neanche coi propri familiari. Più della metà degli adolescenti si sente incompresa ma si rifiuta di parlare coi genitori; un ragazzo su 10, tra gli 11 e i 17 anni, confessa di avere gravi dipendenze dal cibo; 1 su 7 soffre di depressione, ansia e disturbi comportamentali; in tanti ammettono di essere vittime di bullismo, cyberbullismo e marginalizzazione.
Insomma nell’era tanto digitale e tecnocratica quanto nichilista, gli adolescenti sperimentano il vuoto dentro e intorno a sé, come la mancanza di punti fermi (quello che dovrebbero costituire ai loro occhi gli adulti, in specie genitori, insegnanti ed educatori) cui appigliarsi soprattutto nei momenti di difficoltà e insuccesso per trasformarli in opportunità per crescere e maturare.
Tale fotografia desolante della condizione di generale malessere giovanile consente di evidenziare un paradosso significativo su cui riflettere, in specie rispetto all’abuso di smartphone e social da parte degli adolescenti, per i quali da un lato ogni cosa che si sperimenta ormai esiste nella misura in cui viene postata e condivisa sui social, dall’altro invece si è sempre più egocentrati ed egoriferiti, e dunque egolatrici e nel contempo prigionieri della propria stessa immagine, del castello di vetro che ci si costruisce storia dopo storia su Instagram.
D’altra parte i giovani sono minati persino nel profondo della propria identità fisiologica ed esistenziale dall’ipersessualizzazione ideologica dominante che li vuole fluidi e ‘gender free’, – come frequentemente denunciato nelle campagne di ProVita e Famiglia – senza alcuna radice neanche in se stessi, per essere sempre più influenzabili e manipolabili dal potere politico per i suoi meschini scopi.