«Accade con Dio quel che nell’amore umano risulta impossibile: la perfetta, reciproca intimità, cosicché l’uno venga ad abitare nell’altro, pur restando perfettamente se stesso». Così don Marco Panero – docente di filosofia morale presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma e Prelato consigliere della Penitenzieria Apostolica – introduce il tema dell’inabitazione trinitaria nell’anima che costituisce il punto di partenza e il filo rosso delle sue meditazioni di vita spirituale proposte nel volume Nella tenda del convegno (Àncora Editrice 2024, pp. 144). Il titolo dell’opera allude all’immagine biblica della tenda che ospitava l’arca dell’antica Alleanza, ma nella nuova Alleanza tale dimora è il cuore dell’uomo perché è lì che Dio desidera e viene ad abitare.

Preghiera, adorazione, unione con Dio, ascesi e offerta di sé, ma anche governo dei propri pensieri e custodia delle relazioni, vita emotiva e strategie spirituali sono i temi affrontati dal sacerdote salesiano attraverso delle acute meditazioni che coniugano sapientemente sana dottrina e zelo pastorale, affinché il fedele come il consacrato possano ritrovare indicazioni solide per la propria vita spirituale abbeverandosi «alla scuola sicura della Parola e della migliore tradizione della Chiesa», come scrive il cardinale Mauro Piacenza nella prefazione al volume.

Abitando le profondità dell’anima Dio non le fa violenza, anzi «la strappa a una solitudine con se stessa che sarebbe insopportabile». Di qui, come suggeriva Gesù stesso a santa Teresa di Lisieux,

«non affannarti per chiudere Me in te, ma cerca di chiudere te in Me». Ecco perché bisogna anzitutto imparare a saper stare con se stessi custodendo la grazia di Dio e ad accettare i propri limiti e fragilità, nella consapevolezza di «essere una tenda e non un palazzo». D’altra parte «la lontananza da se stessi genera insicurezza, fragilità di convinzioni, instabilità nelle decisioni, col risultato d’essere facilmente influenzabili e di fatto dipendenti dall’opinione altrui».

«Non dobbiamo pretendere da un’altra creatura quanto solo Dio può darci, ogni battezzato è chiamato in una certa misura a stare solo con il suo Signore», rileva ancora don Panero. In questo senso la solitudine non è un vuoto esistenziale, ma la condizione di possibilità di un incontro autentico con Cristo, un «varco privilegiato per avanzare nell’amicizia con Gesù». Talvolta Dio permette la solitudine del cuore anche per preparare l’anima a ricevere una grazia grande, per cui la «spoglia delle sue sicurezze e consolazioni». Si tratta comunque di una «solitudine condivisa» con gli amici di Dio, con la Chiesa, i Santi e ogni fratello nel cammino di fede.

Relativamente all’esigenza del sacrificio quale offerta di sé all’amore del Padre che sempre ci precede, il sacerdote salesiano evidenzia che solo «quanto viene sacrificato può considerarsi consacrato». È necessario dunque scegliere se vivere «esigendo, pretendendo e spremendo tutte le possibilità che la vita concede, oppure spenderla offrendo, consegnando, donando la mia persona». Allo stesso modo una vocazione matrimoniale fallisce se vissuta nell’illusione che sia l’altro a dovermi rendere felice o si compie se spesa a rendere felice il coniuge. L’autore mette quindi opportunamente in guardia se stesso, i confratelli e tutti i consacrati dalla tentazione nell’ambito della propria vocazione di «costruirsi un piccolo mondo confortevole e sicuro, protetto da sottili pretese e inconfessabili condizioni, che ci dispensino da quell’affidamento che è invece il cuore della sequela».

A questo punto egli suggerisce un esercizio pratico per valutare concretamente la propria disponibilità al sacrificio: chiedersi, rispetto alle piccole o grandi contrarietà della quotidianità, se l’atteggiamento che si assume è quello della difesa o dell’offerta delle stesse al Padre nella misura in cui la propria vita è già stata a Lui consegnata. Tali momenti sono in effetti quelli di maggiore intimità con Dio che «ci costringono a rinnovare la nostra offerta senza più alcun calcolo. Era un tempo di grazia, non una sciagura. Ma questo lo si riconosce abitualmente soltanto dopo». Allo stesso modo ci si può interrogare se le cose e i compiti che abitualmente si svolgono si fanno per ricevere un tornaconto in termini di gratificazione personale, «perché questo serve a me,o perché io sto servendo – Dio, la Chiesa, la mia comunità, il popolo di Dio –, attraverso quest’opera?».

Insomma, per dirla più semplicemente con don Panero, «è una buona giornata quella in cui hai donato più di quanto hai ricevuto», in cui ci si è lasciati un po’ ‘mangiare’ dalle persone incontrate lungo il cammino. Una simile offerta «integrale, quotidiana e ripetuta di se stessi si può compiere solo ‘appoggiandosi’ a Qualcuno che abbia già fatto di sé un sacrificio perfetto», ossia a Cristo nell’Eucarestia. Si tratta allora, non solo per i consacrati, di divenire consapevoli che «mentre ti chiede di offrirti con Lui ogni mattina, Egli si è già offerto per te e continua a offrirsi insieme con te».

Riguardo al dialogo col Padre, il sacerdote salesiano sottolinea in particolare che «non c’è tempo o situazione che non siano buone per pregare», per cui le diverse forme di preghiera, proprio in quanto «aderenti alla vita corrispondono ad altrettanti grani d’incenso odoroso da infondere al momento opportuno». La forma meno immediata e spontanea, ma sicuramente la più alta, è la preghiera di lode che «parte da Dio e torna a Dio» e consente di «innalzarci sopra noi stessi» al di là dei propri desideri. Tra le altre modalità menziona il rendimento di grazie, le preghiere di intercessione, riparazione, implorazione di perdono, adorazione, il Rosario e la supplica al Padre, dal momento che «presentare a Dio le nostre richieste è il primo passo per distaccarci da esse, per prenderne le distanze ed evitare di farne il tutto della vita».

Meditando sulla Santa Comunione, don Panero invita a valorizzare in special modo il momento del ringraziamento, «quando Gesù diventa con-corporeo al nostro corpo per abitare la nostra anima, sin d’ora e per l’eternità», per cui «sono i minuti più preziosi che abbiamo nella vita» (S Maddalena de’ Pazzi).

Il sacerdote salesiano individua poi alcune peculiari malattie dell’animo spesso ignorate, ossia l’ansia di voler conoscere sempre tutto; la gelosia di possedere l’altro «che avvelena la relazione e la distorce» dal momento che «il mistero del cuore dell’altro è custodito soltanto da Dio»; il discredito per le piccole cose buone, laddove occorre invece imparare «a riconoscere il bene compiuto». Soprattutto a confratelli e consacrati don Panero ricorda infine l’esigenza di «un’autoformazione ri-creativa» nello Spirito Santo, Maestro della vita interiore, e di confermare con ogni pensiero e atto compiuto nell’amore la propria appartenenza totale a Cristo. In questo modo si vive «spargendo il buon profumo del Signore» e sempre al Suo cospetto, nella rinnovata consapevolezza che è «la fedeltà di Dio che attiva e sostiene la nostra perseveranza» nei doveri di stato e nella risposta alla vocazione ricevuta attraverso atti espliciti di offerta generosa di sé al Padre e ai fratelli.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

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