«Essere mamma è questo: andare sulla vetta più alta del mondo, faticare, divertirsi, divertirsi e faticare, farsi male, ferirsi alle volte profondamente, ma poi che meraviglia…anzi di più! Se imparassimo ad ascoltare la nostra maternità, la società saprebbe come ripartire. Si tratta di darci l’opportunità di superare le ideologie che ci hanno distrutto per riappropriarci di questa maternità che sbaglia, che è fragile, che ha paura ma che splende di vita teneramente, che tende verso l’altro, che va oltre, per accogliere, per fare spazio».
Con queste parole Maria Rachele Ruiu introduce le ‘sfide a vincita certa’ di Rachele Mimì Sagramoso raccolte in Non avere paura, mamma! (Tau Editrice 2022, pp. 192). Si tratta di una serie di preziosi suggerimenti che derivano dall’esperienza concreta dell’autrice (che di figli ne ha sette!) e da quella altrettanto significativa di diverse spose e madri di famiglie numerose pronte a tenere tutto in equilibrio, dal rapporto di coppia al lavoro, dalla vocazione alla maternità all’economia della famiglia.
«Il genitore deve togliere per stimolare il figlio a cercare», osserva l’autrice, additando nel contempo un rimedio alla logica dominante del ‘tutto e subito’ abbracciata oggi da troppi genitori che auspicano di colmare con regali il vuoto lasciato dalla loro scarsa presenza in famiglia. Un vuoto che scava nel cuore di tante ragazzine, perché «per un figlio la presenza di un genitore è il suo sguardo sulla vita». Così crescono «già stanche della vita, ‘bambinofobiche’, edoniste e carrieriste».
Invece «in una famiglia numerosa ci si abitua fin da piccoli a imparare ad accudire l’altro, a essere empatici, a risolvere i problemi, a condividere, rispettarsi e dare giusto valore al tempo», testimonia Marta; a «vedere che i figli possono contare l’uno sull’altro», racconta Anna. Dunque «ogni figlio aggiunge e non toglie mai nulla (ore di sonno a parte)», sottolinea la Sagramoso. Persino sul piano economico il miracolo della condivisione realizza quanto non sarebbe possibile contando sulle sole finanze della famiglia. Eppure spesso una giovane neomamma, mal consigliata dalle amiche, «passa le giornate a scombussolare i propri piani educativi, sperando di evitare ogni tipo di errore che conduca il figlio a diventare un serial killer o un ‘dipendente affettivo’».
Per maturare un figlio ha bisogno innanzitutto di stare con mamma e papà i quali, prima di essere suoi genitori, sono marito e moglie. Egli deve constatare che essi si amano concretamente nella quotidianità, «si perdonano per donarsi all’altro», sostenendosi vicendevolmente nelle situazioni liete ma soprattutto in quelle più faticose o dolorose, perché «l’unica via è l’esempio», che sospinge all’imitazione più di tanti discorsi. Si tratta di generare insomma «un ‘Noi coniugale’ prima del ‘Noi genitoriale’», contando sull’ausilio della grazia divina, come rilevano Giorgio e Cristina Epicoco.
Ciò che traumatizza i figli è «lo sguardo incerto di padri e madri quado si guardano; li traumatizza l’impressione che la loro casa sia costruita sulla sabbia», come sottolinea Franco Nembrini. Al contrario «un padre presente, oltre a essere un compagno di giochi, è un modello al quale il figlio guarda e dal quale impara come relazionarsi agli altri. Un padre presente, coinvolto, di supporto alla propria compagna, è portatore di valori come la fedeltà, la responsabilità, il rispetto per la donna, la possibilità di riparare inevitabili momenti di difficoltà; valori ai quali i figli guardano nel momento in cui loro stessi si impegnano in una relazione romantica», secondo quanto osserva lo psicoterapeuta Gabriele di Marco.
Relativamente alle madri, i valori di cui la donna è portatrice sono «dolcezza, accoglienza, empatia, ‘maternalità’», misconosciuti «in una cultura dove vi è il diritto a essere madri nel modo e nel momento che la donna desidera e ritiene opportuno, ma se poi costei trova nella maternità una realizzazione, la si biasima o si tenta quasi di demolirla moralmente». Di qui «si applaude alla giovane influencer Chiara Ferragni che diventa mamma ma lavora senza sosta “perché non ci si può cancellare per i figli”, ma si dileggia o si condanna apertamente la sportiva Tania Cagnotto che si ritira dalle gare per dedicarsi ai figli». Eppure «ogni figlio vale ogni goccia di sudore, di stanchezza, di spossatezza che un genitore può provare».
«L’io infantile di un figlio, onnipotente all’inizio, deve gradualmente trovare dei limiti per non ‘ammalarsi’». Sono dunque necessarie «piccole regole quotidiane» affinché un figlio possa acquisire sicurezza e fiducia, caratteristiche fondamentali per la sua maturazione umana. Dai figli, però, si impara anche, come testimonia la stessa Sagramoso in relazione a ciascuno dei suoi. D’altra parte «in fondo qualsiasi mestiere facciamo, qualsiasi professione portiamo avanti, accanto a noi ci sarà solo chi abbiamo amato, chi abbiamo curato e chi abbiamo abbracciato».
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana