Nello sport l’ideologia di genere fa più fatica ad affermarsi. È quanto testimonia la vicenda che vede protagonista Lia Thomas, primo atleta transgender a vincere un titolo universitario NCAA nel marzo 2022. Thomas ha perso infatti una causa legale contro la World Aquatics presso il tribunale arbitrale per lo sport, per cui gli resta vietato nuotare nella categoria femminile e preclusa la possibilità di accedere nella stessa categoria alle prossime Olimpiadi.

Insomma il regolamento sportivo rimane invariato e, almeno per il momento e relativamente al nuoto, le Olimpiadi sono salve, nonostante i ripetuti tentativi di piegare tale sport all’ideologia di genere. In questo caso, poi, a contestarne le regole è un atleta che non è neanche più membro della federazione statunitense di nuoto.

«È un importante passo avanti nei nostri sforzi per proteggere lo sport femminile», ha affermato la World Aquatics, nel ribadire contestualmente il proprio impegno a «promuovere un ambiente che promuova l’equità, il rispetto e le pari opportunità». D’altra parte la World Aquatics ha aggiornato il proprio regolamento proprio dopo che Thomas aveva battuto la medaglia d’argento olimpica Emma Weyant di 1,75 secondi, vincendo nel 2022 l’oro NCAA nei 500 yard (circa 457 metri) stile libero nella categoria femminile.

E in effetti ciò che viene contestato opportunamente a nuotatori come Thomas è il fatto di maturare vantaggi fisici significativi a scapito del gentil sesso – in termini di resistenza, potenza, velocità, forza e dimensioni dei polmonianche dopo aver ridotto i livelli di testosterone attraverso farmaci.

Allo stesso tempo, però, la World Aquatics annuncia che ha inaugurato una categoria sportiva dedicata per i nuotatori transgender, ma ad oggi non sono pervenute iscrizioni per nessuna delle gare che avrebbero dovuto svolgersi dei 50 e 100 metri in tutti gli stili.

Nella stessa direzione si sta muovendo anche l’Ice Hockey UK che, in nome della sicurezza dei giocatori, si prepara a vietare ai maschi che presumano di esser nati nel corpo sbagliato di giocare nei campionati femminili, anche perché le regole attuali consentono alle giocatrici di appena 14 anni di competere già in squadre di adulti. Al di là dei problemi di promiscuità negli spogliatoi, aprire le porte a uomini sedicenti donne nelle squadre femminili aumenterebbe palesemente anche i rischi di infortuni gravi sul campo di ghiaccio.

Sono questi alcuni piccoli segnali di un’inversione di rotta che mostrano come, anche in ambito sportivo, a vincere sia la natura reale dell’uomo, dunque la biologia, non l’ideologia.

Fonte: ProVita e Famiglia

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