Sostegni economici subordinati all’accettazione dei diritti alla salute riproduttiva, tra i quali aborto e contraccezione, e alle priorità dell’agenda Lgbtq+. L’ONU non è nuova all’attuazione di tali politiche.Questa volta a finire nel mirino sono in special modo Uganda, Niger, Gabon e Repubblica Centrafricana, ai quali viene impedito di commerciare con gli Stati Uniti secondo i termini dell’African Growth and Opportunities Act (AGOA), costituita nel 2000 quale mezzo per migliorare l’accesso al mercato americano per le imprese con sede nell’Africa subsahariana.
In modo particolare l’Uganda avrebbe perpetrato una «grave violazione dei diritti umani riconosciuti a livello internazionale». Queste le parole pronunciate recentemente dal presidente Biden al Congresso. Il Paese africano sarebbe dunque colpevole di aver promulgato una legge che penalizza le relazioni omosessuali e transgender fino all’ergastolo. Dura la replica di Susan Muhwezi, consigliere commerciale del presidente ugandese Museveni al New York Times, che così rispedisce l’accusa al mittente: «Tale sospensione è una violazione dei diritti umani», nella misura in cui penalizza duramente il sistema d’esportazione, gravando pesantemente sui mezzi di sussistenza dei commercianti.
In effetti ancora una volta l’ONU, col pretesto dei ‘diritti umani, pretende di imporre la dittatura del ‘pensiero unico’ senza rispettare la sovranità del Paese che ha legiferato in materia. Con la medesima arbitrarietà e per motivazioni simili l’ONU ha colpito periodicamente anche altri Paesi dello stesso continente che entrano ed escono dall’AGOA con una facilità estrema, come accaduto recentemente a Repubblica Democratica del Congo, Gambia e Swaziland.
Tra le vittime ulteriori di questa dittatura del ‘politicamente corretto’ anche la Nigeria, la quale recentemente non ha firmato l’accordo di Samoa tra gli Stati membri dell’Organizzazione degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (OACPS) e l’UE. A tal proposito il ministero degli esteri Francisca Omayuli ha dichiarato a The Guardian che «le parti interessate nigeriane stanno studiando lo strumento con l’obiettivo di garantire che le sue disposizioni non contravvengano alla legislazione interna della Nigeria».
In buona sostanza gli aiuti economici, anche attraverso l’adozione di protocolli ben definiti che favoriscano una relazione di import-export tra Paesi ricchi e Paesi in via di sviluppo, restano fortemente vincolati all’accettazione dell’ideologia di gender,celata dietro le sedicenti ‘politiche inclusive’ legate alla non discriminazione, come alla diffusione di aborto, contraccezione e misure per il controllo demografico spacciati per ‘politiche sanitarie’ all’avanguardia, in quanto già vigenti nei Paesi più evoluti e civili.
Le reazioni di Uganda e Nigeria sono dunque eloquenti non di una «violazione dei diritti umani», come il mainstream vorrebbe far credere, bensì al contrario costituiscono l’espressione della forza etica e morale di popoli che non si piegano alle logiche ricattatorie imposte dallo strapotere degli organismi sovranazionali e che custodiscono gelosamente i propri valori e la propria identità nazionale pagandone sulla propria pelle un costo alto in termini di opportunità di sviluppo economico.