Da pochi giorni, ovvero dal 1° gennaio, la procreazione medicalmente assistita (Pma) rientra ufficialmente nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea). Pertanto tutte le regioni sono obbligate a fornire gratuitamente, a rimborsare gran parte della spesa effettuata o comunque a offrire previo pagamento del solo costo del ticket – il cui onere oscilla tra i 100 e i 300 euro – tutti i servizi medico-clinici relativi alla Fivet e alle altre tecniche di fecondazione artificiale. Se da un lato è sicuramente opportuno fornire, ad esempio, prestazioni per malattie particolari al costo del ticket, in particolare a chi non si potrebbe permettere cure adeguate; dall’altro offrire le tecniche di fecondazione artificiale omologa ed eterologa con la copertura del servizio sanitario nazionale è scandaloso e assolutamente iniquo. Non esiste infatti nel nostro ordinamento giuridico alcun “diritto al figlio”, tanto più se per perseguire tale pretesa vengono selezionati, congelati e uccisi molti embrioni, tanti piccoli esseri umani che non vedranno mai la luce.
I numeri della Pma in Italia
Nonostante i limiti e le condizioni poste per accedere a tali tecniche di Pma dalla legge 40, sono ormai oltre 80 mila le coppie che ricorrono alla fecondazione artificiale per un totale di oltre 100 mila cicli di trattamenti. Centinaia di migliaia di figli sacrificati per averne in braccio poco più del 4%. Nel 2022 i figli avuti “in provetta” sono stati 16.718. Si tratta evidentemente di tecniche con scarse percentuali di successo. Eppure il mainstream politicamente corretto continua a proporle come una panacea per i problemi d’infertilità e sterilità di coppia, sebbene siano acclarati gli stessi effetti negativi anche sul benessere psicofisico delle coppie che vi si sottopongono, e in particolare sulla salute della donna soggetta a continue stimolazioni ormonali. Ora, data la copertura offerta dal servizio sanitario nazionale, si prevede che aumenteranno ulteriormente le richieste d’accesso a tali cicli di trattamento.
Pma, una pratica moralmente illecita, salvo rare eccezioni
In realtà le tecniche di fecondazione artificiale – salvo rarissime eccezioni – sono gravemente immorali, anzitutto perché scindono le due finalità specifiche dell’atto sessuale, ossia la dimensione unitiva da quella procreativa. Tra queste eccezioni – come Pro Vita & Famiglia onlus ha già avuto modo di spiegare – vi è l’inseminazione artificiale, ammissibile moralmente soltanto «quando il fine è quello di concepire un figlio senza alcun capriccio eugenetico o “selettivo” a latere; la circostanza è quella di un normale atto coniugale naturalmente posto; il mezzo è costituito dal prelievo del seme in stretta connessione con l’atto sessuale per rappresentare un aiuto al superamento dell’ostacolo patologico che impedisce il concepimento». Un altro caso è quello della tecnica intracorporea Gift, la quale prevede il «trasferimento simultaneo, ma separato, dei gameti maschili e femminili all’interno della tuba di Falloppio», per dirla con le parole dell’autorevole Manuele di Bioetica di Elio Sgreccia.
In sostanza, nella misura in cui la tecnica costituisce un “aiuto” all’atto sessuale, allora è consentita sul piano etico; quando invece è “sostitutiva” dell’atto sessuale – come nella maggior parte dei casi di Fivet e delle altre tecniche riproduttive – non è mai moralmente ammissibile, in special modo perché prevede selezione eugenetica, congelamento e soppressione degli embrioni in sovrannumero; esseri umani considerati ingiustamente quali “prodotti di scarto”, come mezzo e non come fine in se stessi, pur di avere a ogni costo un “figlio in braccio”.