«Egli ha riconosciuto il volto del Mistero che fa ogni cosa, presente qui e ora. Questo amore a Cristo si distese in lui in una serie infinita di gesti d’amore agli uomini e alle donne che incontrava nei loro bisogni elementari, curando e sanando fino alla fine dei suoi giorni. In lui si realizza la santità come ideale di umanità vera». Così don Luigi Giussani introduceva la figura del medico santo Riccardo Pampuri, tratteggiata con dovizia di particolari nell’ultimo lavoro del nostro Rino Cammilleri, Riccardo Pampuri (Ares 2022, pp. 283). Si tratta infatti di una biografia molto documentata, ricca di aneddoti della vita del santo ‘medico del corpo e dello spirito’, ma anche di episodi significativi del contesto storico e culturale in cui egli visse.

Decimo di undici figli, Erminio Filippo Pampuri nasce a Trivolzio nella Bassa milanese il 2 agosto 1897. Orfano di madre a tre anni e di padre dopo un incidente stradale, egli è stato studente, soldato, medico e religioso nei Fatebenefratelli. Giovane studente, una volta terminati i compiti, «se ne va in cappella e resta inginocchiato un bel po’ davanti al Santissimo». S’iscrive alla facoltà di medicina a Pavia per servire Cristo nel prossimo sofferente. «Una volta, durante un’‘azione’, ci scappò il morto, uno studente. Gli spararono dalle finestre e tutti scapparono. L’unico che ebbe il coraggio di avvicinarsi a quel poveraccio fu Pampuri. Si chinò sul corpo esanime, ma non c’era più nulla da fare. Recitò una preghiera e se ne andò senza che nessuno osasse dirgli niente». Con la sua testimonianza di vita cristiana riusciva a portare a Cristo tanti giovani, attraverso opere concrete di apostolato col circolo “Severino Boezio” e le “Conferenze di San Vincenzo”.

Sospinto da tale zelo si fa terziario francescano e, quando l’Italia decide di entrare in guerra, egli non si sottrae e va al fronte portando con sé il Vangelo, le Lettere di San Paolo, l’Imitazione di Cristo e in tasca il rosario. Quando le truppe batterono in ritirata dopo la sconfitta di Caporetto Pampuri, completamente solo, sfidando la pioggia battente, il fango e il fuoco nemico, aggioga una mucca e pone su un carretto apparecchiature, bende, medicine e ferri che sarebbero ancora stati utili per tanti feriti di guerra. Questo gesto gli costa però una brutta pleurite.

Nell’immediato dopoguerra, divenuto medico condotto a Morimondo, partecipa quotidianamente alla «messa e fa la comunione, poi cominciava il giro. Di più: spesso non si faceva neanche pagare (virtù somma, agli occhi dei malati poveri); anzi, non era raro il caso che fosse lui a lasciare del denaro sul tavolo». Dopo il giusto discernimento vocazionale, condizionato anche dalle sue precarie condizioni di salute, sceglie l’ordine dei frati che si dedicano proprio all’assistenza degli infermi fondato da San Giovanni di Dio. Il fatebenefratello che l’accoglie pronuncia delle parole che risuonano profetiche: «Dovesse rimanere anche un solo giorno membro effettivo dell’Ordine nostro, sia il benvenuto. Dopo esserci stato in terra di edificazione, ci sarà poi in Cielo angelo di protezione».

A Pampuri «viene chiesto anche di tenere lezioni di infermieristica generale ai confratelli». Frate Riccardo non disdegna le mansioni più umili, «caricandosi le incombenze più sgradevoli» legate in specie alla cura di malati di sifilide o tubercolosi, di corpi «imbrattati da vomito, feci, urina, bava, sudore, pus, quando certi odori prendono il naso e la gola». Nel contempo, in virtù della sua profonda scienza medica, viene chiamato spesso per un consulto. Per un breve periodo gli viene affidata anche la direzione di un ambulatorio dentistico in ospedale.

Riguardo agli ospedali, Cammilleri evidenzia come lo stesso Lutero abbia elogiato «gli ospedali dei ‘papisti’», ricordando che per l’Ospedale degli Innocenti a Firenze sono stati chiamati artisti del calibro di Brunelleschi e Andrea della Robbia. «Il limite stava nel personale; persino gente che doveva scontare una pena veniva adibita ai ‘lavori forzati’ negli ospedali, dove finivano i poveracci che non potevano pagarsi il medico e le medicine, dal momento che i ricchi potevano pagarsi i medici a domicilio».

Nel 1929 a frate Riccardo viene un’emottisi più violenta del solito. È trasferito d’urgenza a Milano, ma la febbre resta alta. Muore alle dieci e mezza circa del primo giorno di maggio. Eppure non si lamenta, sorride sempre («Quale torto faremmo a Nostro Signore se dovessimo servirlo con una spanna di broncio», scrive) e riesce a «fare apostolato anche dal letto. I malati del reparto, il personale, i sacerdoti e i confratelli che venivano a trovarlo restavano edificati dalla sua forza d’animo. Molti, usciti da lì, si accostarono ai sacramenti dopo anni. E anche dopo morto portò anime a Dio: un protestante, lì ricoverato, sentendo dire che era morto una specie di santo, aveva voluto farsi accompagnare a vederlo. Era rimasto così colpito dalla serenità di quel viso da commuoversi fino alle lacrime. Pochi giorni dopo volle farsi cattolico».

Tra i miracoli compiuti grazie alla sua intercessione si ricorda che Don Raineri, compagno alla scuola elementare di Pampuri, si rivolge all’amico a seguito di una perforazione duodenale e viene guarito. Stesso esito felice per una tredicenne che attendeva l’amputazione della gamba per osteomielite, alla quale il padre pone un’immaginetta di frate Riccardo sotto il cuscino. Nel 1982 è un ragazzino di dieci anni che, ponendo una reliquia del saio del frate sotto la benda sull’occhio che avrebbe perso a causa di un brutto taglio, si risveglia guarito. Queste sono solo alcune delle innumerevoli guarigioni fisiche di moribondi dati per spacciati operate grazie all’intercessione del medico lombardo.

Insomma «a trentatré anni Pampuri aveva ben svolto il suo compito, fatto tutto quello che doveva fare, si era realizzato secondo il progetto di Dio». Così nel 1989 viene elevato agli onori degli altari da Giovanni Paolo II. A quanti chiedono la sua potente intercessione Riccardo Pampuri mostra ancora oggi con generosità il volto misericordioso di Cristo che si china sulle ferite del corpo e dell’anima.

Fonte: La Nuova Bussola Quodianana

 

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