Oggi la terra rimane in silenzio perché il Re dorme, come scrive sant’Agostino: “Cristo dormì perché stessimo svegli noi, Lui che era morto perché fossimo vivi noi. Oggi il Re dorme. Il suo sonno, la sua discesa agli inferi, però, risveglia l’uomo decaduto, ha il potere di sciogliere le catene del peccato e della morte”. Tuttavia il silenzio che caratterizza questo giorno, in cui la Chiesa celebra solo la liturgia delle ore, è il segno esteriore di un’attesa colma di fiduciosa speranza. La speranza che il peccato e la morte non siano l’ultima parola rispetto al destino di ogni uomo, a cui Cristo, con la sua morte e risurrezione, offre la salvezza.
Un’antica omelia sul Sabato Santo, scritta da un autore del III secolo, immagina un dialogo negli inferi tra Cristo e Adamo, tanto significativo sul piano teologico quanto poetico su quello letterario, che merita di essere riportato integralmente, anche perché costituisce una delle rare testimonianze dei primi secoli in grado di fare luce sul mistero della condizione di Cristo dopo la sua morte. «Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi. Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell’ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione. Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: “Sia con tutti il mio Signore”. E Cristo rispondendo disse ad Adamo: “E con il tuo spirito”. E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: “Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà. Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell’inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un’unica e indivisa natura. Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo. Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. Per te uomo ho condiviso la debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti. Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, sono stato tradito in un giardino e dato in mano ai Giudei, e in un giardino sono stato messo in croce. Guarda sulla mia faccia gli sputi che io ricevetti per te, per poterti restituire a quel primo soffio vitale. Guarda sulle mie guance gli schiaffi, sopportati per rifare a mia immagine la tua bellezza perduta. Guarda sul mio dorso la flagellazione subita per liberare le tue spalle dal peso dei tuoi peccati. Guarda le mie mani inchiodate al legno per te, che un tempo avevi malamente allungato la tua mano all’albero. Morii sulla croce e la lancia penetrò nel mio costato, per te che ti addormentasti nel paradiso e facesti uscire Eva dal tuo fianco. Il mio costato sanò il dolore del tuo fianco. Il mio sonno ti libererà dal sonno dell’inferno. La mia lancia trattenne la lancia che si era rivolta contro di te. Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio. Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l’eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli”».
Anche se inserita in una cornice narrativa fittizia, questa mirabile catechesi rivela il desiderio profondo del cuore del Padre di riportare l’uomo, mediante il sacrificio del suo Figlio, allo splendore della sua prima immagine, quella di creatura appena uscita dalle mani del Creatore e non ancora segnata dal peccato, affinché possa vivere con l’ausilio della Grazia in conformità al suo disegno originario. Per questo motivo la volontà salvifica del Padre prende le mosse dalla liberazione degli uomini giusti, dei patriarchi, dei profeti e di quanti, pur essendo nati prima della venuta del Signore sulla terra, attendevano con ansia e trepidazione la consolazione di Israele, alla stregua del vecchio Simeone e di Anna, e videro venirsi incontro finalmente l’oggetto e la fonte della loro speranza, il Cristo Salvatore.
Il Sabato Santo è preludio al compimento di tale promessa: nella discesa nelle viscere della terra del “nuovo Adamo” per liberare Adamo, dell’uomo nuovo per soppiantare l’uomo vecchio, è in effetti adombrato e racchiuso il germe della vita nuova inaugurata da Cristo. Nella prospettiva di un simile progetto d’amore del Padre – realizzato pienamente nel mistero della Passione, Morte e Risurrezione del Figlio – persino la colpa di Adamo, una volta riscattata, diviene “felice”, per dirla parafrasando sant’Agostino, perché ci ha meritato un Redentore così grande!
Fonte: LaNuovaBussolaQuotidiana