L’Irlanda è «una terra antica, mitica, magica, dove storie, miti e leggende si sono spesso intrecciati e confusi. La terra dei folletti, ma anche dei prodi guerrieri che appendevano le teste dei nemici uccisi fuori dalle proprie capanne o alle selle dei cavalli. L’isola dei druidi, i bianchi maghi che conoscevano i segreti della natura, e dei bardi, i sapienti poeti che conoscevano centinaia di storie che raccontavano alle corti dei re». Così lo scrittore caro ai lettori de La Nuova Bussola Paolo Gulisanopresenta nel suo Patrizio (2024, pp. 160) l’isola nella quale il santo arriva nel V secolo e, grazie al seme della sua evangelizzazione, contribuisce a far diventare in breve tempo uno dei centri più vitali del cristianesimo che fiorisce sul piano culturale e spirituale proprio mentre, a causa della decadenza morale, l’impero romano è in piena crisi e invaso dalle tribù germaniche.
I Celti erano giunti sull’isola – che i romani chiamavano Hibernia – già tra il 600 e il 150 a.C. «Infatuati della guerra», come li definisce lo storico Strabone, si organizzano in piccole sovranità locali in tribù sostanzialmente autonome. Sul piano religioso si sforzano di cogliere nei miti la verità delle cose, ma sono adoratori della triade funzionale Regalità, Guerra e Produzione rispettivamente nei nomi di Dagda, Lug ed Epona. I loro cuori valorosi, che non «temevano nulla fuorché il cielo cadesse sulle loro teste, come avevano orgogliosamente dichiarato secoli prima ad Alessandro Magno», furono conquistati a Cristo proprio grazie all’apostolato di Patrizio.
Nato secondo la tradizione in Britannia nel 385, giunge in missione in Irlanda nel 432 ove muore nel 461. Dopo esser stato rapito dai pirati quando è ancora un bambino, è costretto a vivere un periodo di dura prigionia separato dalla sua famiglia. Venduto come schiavo, viene impiegato come pastore di pecore. Ma è proprio durante gli anni in schiavitù che matura, anche attraverso la sofferenza, la consapevolezza della propria vocazione. Ordinato sacerdote, si impegna da subito a contrastare l’eredità pelagiana sulla scorta del magistero dottrinale di Sant’Agostino. Aveva infatti sperimentato in prima persona l’efficacia della grazia divina soprattutto nel tempo della prova.
Di qui quello stesso popolo che lo aveva visto deportato in schiavitù ora lo acclama: «Ti preghiamo, giovane cristiano, vieni a vivere ancora fra noi». È questo il cuore della visione angelica che durante una notte gli schiude il valore di una missione, quella di pastore di anime del popolo irlandese, che sarebbe durata trent’anni. Una volta divenuto vescovo di Armagh percorre l’isola di villaggio in villaggio, discutendo coi druidi, ma anche incontrando in semplicità uomini e donne del popolo gaelico. Sono pertanto numerose le conversioni, i miracoli e le guarigioni che costellano la sua predicazione, portando alla fondazione di tante chiese su tutta l’isola.
A Patrizio viene attribuita l’invenzione della lorica – il cui nome rimanda a una tipologia d’armatura corazzata romana –, una sorta di preghiera esorcistica che implora Dio quale scudo di difesa da ogni male e rimedio sicuro per la propria salute fisica e spirituale.
Nello sforzo di additare ai celti il mistero della Trinità Patrizio cristianizza il triscele, simbolo composto da tre spirali unite in un punto centrale, che alludeva tra gli altri alle tre classi in cui era suddivisa la popolazione isolana e alle rispettive divinità protettrici. Allo stesso modo presso la roccia di Cashel coglie un trifoglio dal prato e così esemplifica agli astanti il mistero della Trinità, «mostrando che da un unico stelo vengono a generarsi a tre foglie e che l’assenza di una sola di quelle foglie fa sì che il fiore non sia più tale». Nella sua spiegazione è convincente al punto tale che il re stesso chiede al termine del discorso del santo di essere battezzato e divenire cristiano. Da allora il trifoglio diventa il simbolo identitario del Paese. Anche la croce celtica – quale crocifisso inscritto in un cerchio – designa la regalità di Cristo sul mondo e assume da subito particolare rilevanza agli occhi dei neofiti.
Al nome dell’apostolo d’Irlanda è inoltre legato il ‘pozzo di San Patrizio’. Secondo la tradizione Gesù stesso avrebbe additato una cavità nella roccia al Santo che vi avrebbe trascorso una giornata in preghiera e digiuno quale penitenza per i propri peccati, contemplando le atrocità dell’inferno e la sublimità dei beni celesti. Di qui la sua visione del Purgatorio è stata ripresa dagli autori medievali ne Il Purgatorio di San Patrizio, un celebre scritto di un monaco cistercense del XII secolo.
La testimonianza di fede del vescovo Patrizio genera cultura, contribuendo alla fioritura del monachesimo irlandese anche femminile, splendidamente rappresentato tra le altre in special modo dalla figura della badessa Santa Brigida d’Irlanda. Pur abbracciando la regola benedettina e il voto di stabilità che essa prescrive, i monaci irlandesi non disdegnano la peregrinatio pro Cristo, ossia intraprendono di frequente con coraggio e fiducia nel Padre la via del mare su imbarcazioni di fortuna, lasciandosi alle spalle la loro amata isola e i propri affetti in una sorta di «martirio bianco» per annunciare il Cristo, salvezza delle genti.
Assimilando e nel contempo purificando i culti druidici e i riti gaelici San Patrizio – che è oggi uno dei santi più festeggiati al mondo – è stato davvero il grande apostolo dell’Irlanda attraverso l’inculturazione della fede. Rispettando profondamente la cultura e le tradizioni locali, ha dunque contribuito sapientemente in special modo all’originalità del monachesimo irlandese che rifulge, come sottolineato dallo storico Le Goff, proprio per la «ricchezza di iniziative missionarie e l’eccezionale produzione artistica». Si auspica pertanto che, in tempi quali quelli attuali di neopaganesimo gnostico imperante, attingendo alle radici storiche autentiche della propria cultura e per l’intercessione del suo Patrono, l’Irlanda possa premurarsi di perseverare nella vera fede.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana