Nella festa della sua memoria liturgica e nel proseguire le celebrazioni per i 750 anni dalla sua morte e nascita al cielo nel 1274, Tommaso d’Aquino continua a risplendere quale astro di luce perenne nel firmamento della filosofia e teologia per la sua mirabile sintesi di verità di ragione e di fede. Di qui il professor Fernando Fiorentino – docente emerito di Filosofia Teoretica dell’Università del Salento e già curatore di una nuova traduzione della Somma di Teologia in cinque pregevoli volumi pubblicati da Città Nuova – condivide con Il Timone alcune riflessioni sull’attualità del pensiero dell’Aquinate per tornare a «leggere Tommaso mediante Tommaso». A questo scopo e per avvicinare anche i non specialisti a una consultazione agevole delle principali ‘voci’ filosofiche e teologiche del capolavoro dell’Angelico Dottore è di imminente pubblicazione, sempre per Città Nuova, anche un Lessico teoretico della Somma di teologia curato dallo stesso docente con il contributo di numerosi studiosi e cultori del pensiero dell’Aquinate.

Prof. Fiorentino, la filosofia di San Tommaso è ancora attuale? 

«I grandi geni – e san Tommaso è stato uno tra i più grandi geni del secondo millennio – non passano mai di moda, sono dei compagni sicuri di cordata. Nello specifico, tra i modi in cui san Tommaso ha scritto ce n’è uno che è stato sempre attuale – soprattutto di questi tempi in cui i social sono il mezzo di comunicazione più diffuso – ossia la concisività. Leibniz lo aveva già notato, dicendo che «san Tommaso è solito andare al sodo». Nel proemio della Somma di teologia dice che egli scrive pensando ai principianti, ai quali il messaggio giunge se è semplice e se lo si esprime con il minor numero di parole possibile. Insomma aveva anticipato di otto secoli WhatsApp, Telegram e Facebook!»

Secondo quali aspetti teoretici quella del Dottore Angelico è ancora philosophia perennis

«L’espressione philosophia perennis è stata usata per designare la filosofia di san Tommaso per la sua oggettività la quale, non dipendendo dal soggetto, è di per se stessa universale. Lo ribadirà anche Galilei quando dirà che ciò che si scopre leggendo il libro della natura, essendo un dato oggettivo non dipendente dall’interpretazione del soggetto, agisce perennemente nello stesso modo universalmente per tutti e in tutti i tempi. Diversamente dalla soggettività kantiana, la quale anche se è detta ‘trascendentale’, giacché si propone di andare oltre il singolo individuo, rimane inevitabilmente inchiodata al singolo ‘Io penso’. La ragione l’aveva già esposta san Tommaso, criticando l’intelletto universale di Averroè, quando afferma: “Hic homo intelligit” (“Questo singolo uomo concreto pensa”). Il male della filosofia moderna è che la pretesa di un Io penso trascendentale resta solo una pretesa e la fine della modernità lo ha già ampiamente dimostrato. E oggi siamo sommersi dai cocci rimasti, visibili nel dilagare delle opinioni soggettive, nella molteplicità unilaterale delle narrazioni dettate dall’ignoranza della verità o dalle ideologie. Ma quando si esprime un giudizio in conformità ai dati o ai fatti oggettivi, per quanto umanamente possibile, così come si manifestano nella loro pura datità, allora si va oltre la dimensione soggettiva e si coglie quell’oggettivo che si mostra a tutti, indistintamente, sempre nello stesso modo. Questo è il nocciolo della philosophia perennis, il cui principio è la verità come adeguazione dell’intelletto alla cosa. Solo a questa condizione il giudizio trascende l’individuo e il suo stesso tempo».

Da dove nasce l’esigenza di un Lessico della Summa oggi?

«L’esigenza di un Lessico nasce dalla considerazione che la molteplicità delle interpretazioni di Tommaso susseguitesi nel tempo, spesso contrastanti e in alcuni casi anche contraddittorie, hanno fatto cadere sul testo una specie di sedimenti che lo hanno ricoperto a tal punto che il suo senso, quello che l’autore vuole trasmetterci, non si riconosce più, come accade per quei reperti che si trovano nei fondali marini, tutti ricoperti da tante incrostazioni che non si riesce a capire neppure di che cosa si tratti, se anfore, vasi o quant’altro. Questo Lessico ha la finalità di asportare dalla Somma di teologia di san Tommaso tali incrostazioni per riportare il testo alla sua lucentezza originaria e far pervenire al lettore di oggi il pensiero dell’Aquinate senza l’intermediazione dei suoi interpreti, che non solo nel passato ma ancora oggi, fanno sostenere a san Tommaso tesi che egli non ha mai sostenuto o, addirittura, ha detto il contrario».

Cosa può svelarci in anteprima di quanto riscoperto ricercando tra le pieghe della Summa per la redazione e curatela delle voci di tale Lessico?

«Le cose che sono venute alla luce sono molte e interessanti e, soprattutto, controcorrente. Gliene dico una soltanto. Poniamo il caso di uno studente che, appena scritto alla Facoltà di Teologia, prenda in mano la Summa e si metta a leggere il primo articolo in cui san Tommaso si chiede “se sia necessario che, oltre alle discipline fisiche, si abbia un’altra dottrina”. Egli risponde che “per la salvezza, è necessario che ci sia la sacra dottrina”. Dunque lo studente si sarebbe aspettato che nel primo articolo e in tutta la prima questione san Tommaso trattasse dello statuto della teologia. Invece tutta la prima questione è dedicata a definire lo statuto di un’altra disciplina che egli chiama sacra dottrina che, alla luce degli altri luoghi della Summa in cui compare la parola teologia, si scoprirà essere distinta, e non equivalente a quest’ultima. Dunque quando Tommaso scrive sacra dottrina intende sostanzialmente la dottrina insegnata da Cristo ai discepoli; quando scrive teologia intende un’altra cosa».

Cosa può insegnare ancora il Dottore Angelico ai filosofi e teologi oggi?

«Imparare a interpretare i rispettivi libri, quello della natura e le Scritture. Nei manuali di filosofia si racconta che da Galilei in poi si è parlato della natura come di un grande libro che deve essere letto e intrepretato facendo attenzione ai caratteri con cui è stato scritto. Ebbene, prima di Galilei, già san Tommaso aveva usato l’espressione ‘libro della natura’ nel suo Commento alla lettera ai Romani, in particolare nel commento a Rom. 1, 18-20, dove si dice che i gentili sono inescusabili per non aver dato onore a Dio, perché “ciò che di Dio si può conoscere, cioè la sua onnipotenza e la sua divinità, è per essi manifesto sin dalla creazione del mondo”. San Tommaso commenta che Dio, creando la natura, ha immesso in ogni cosa l’idea che di essa aveva prima di crearla. E la natura – aggiunge – è per noi come un libro scritto dalla mano divina. Pertanto se nelle cose c’è l’idea che Dio ha di esse prima di crearle, accade che a fine lettura noi avremo nella nostra testa la stessa idea che delle cose ha il loro Creatore. Allora – secondo la dottrina della verità intesa come adeguazione dell’intelletto e della cosa – quando io adeguo o conformo il mio pensiero alle cose, mi sto nello stesso tempo adeguando e conformando al pensiero di Dio. Questo modo di rapportarsi del filosofo al libro della natura è identico al modo secondo cui il teologo deve rapportarsi alla Bibbia. C’è una sola differenza: la lettura del libro della natura ci fa conoscere delle cose e di Dio solo ciò che il lume naturale della ragione è capace di conoscere. Tali conoscenze sono anche dette verità di ragione. La lettura del libro delle Sacre Scritture, invece, ci fa conoscere delle cose e di Dio quelle verità che la ragione non è in grado di conoscere e che sono state rivelate da Dio. Tali verità sono le verità di fede, perché conoscibili solo col lume della fede. Sono certo che san Tommaso, se fosse stato presente nel processo di Galilei, avrebbe dato ragione a Galilei. Anzi, essendo un seguace di Aristotele, aveva appreso che ogni nostra conoscenza deriva dai sensi; dunque avrebbe perfino guardato nel cannocchiale per constatare con i propri occhi che Galilei aveva ragione».

E ai pastori della Chiesa?

«L’Angelico li inviterebbe a non lasciarsi influenzare dalle mode nell’interpretare le Scritture. Le mode sono come gli interpreti che ricoprono il testo di sedimenti, impedendo di ricostruire nella nostra mente quelle idee che all’origine esistevano in quella di Dio. Se c’è un intermediario tra la mia mente e la mente divina, questo è solo il linguaggio del tempo. Per cui se voglio capire ciò che, in quel tempo, Dio rivelava a questo e a quel profeta, devo ricostruire nella mia mente la stessa corrispondenza che ad ogni parola esisteva nella mente di tale profeta. Come il profeta entrava in sintonia o si sintonizzava con Dio tramite il linguaggio del suo tempo, anch’io devo sintonizzarmi nello stesso modo tramite quel linguaggio che allora parlava il profeta. Parafrasando san Tommaso in proposito, quando Dio ispirava il profeta entrava nella sua mente, consultava il vocabolario che il profeta aveva nella mente e metteva insieme così le parole trovate in questo vocabolario in modo da formare un giudizio. Ma Dio fa una cosa molto particolare: mette insieme due nomi, con cui forma il giudizio, che il profeta non si sarebbe mai sognato di mettere insieme. Oppure separa i due nomi se il giudizio è negativo. In sostanza, è proprio in questo modo che avviene la rivelazione di quelle verità che la ragion non potrebbe mai conoscere. Basti l’esempio di Isaia, quando profetando afferma: «La vergine partorirà». Quale ragione umana avrebbe messo insieme queste due parole?».

Fonte: Il Timone

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