Cupole, chiese, fontane, palazzi, piazze, sculture, oli su tela. Dalla ‘barca di Pietro’ alla Barcaccia, il Barocco è il tempo di Roma. Se c’è un ‘secolo d’oro’ che ha contributo al fulgore della Città Eterna e ne ha trasfigurato il volto è proprio il Seicento. Nell’Urbe di Papa Urbano VIII, nella Roma dei Barberini lavorano alacremente Maderno, Bernini e Borromini, operano artisti italiani e internazionali, tra i quali anche Pietro da Cortona, Valentin de Boulogne, Nicolas Poussin, Antoon Van Dyck, Domenichino, Andrea Sacchi, Guido Reni.
Articolata in cinque sezioni che si focalizzano su altrettanti aspetti della concezione del tempo nel Seicento, la mostra Tempo Barocco di Palazzo Barberini a Roma – curata da Francesca Cappelletti e Flaminia Gennari Santori, inaugurata il 15 maggio e visitabile fino al prossimo 3 ottobre – si snoda attraverso 40 opere di grandi artisti protagonisti della cultura dell’epoca, per la maggior parte vissuti a Roma nel secolo della ‘rivoluzione scientifica’.
Nella tela di Antoon Van Dyck il vecchio Crono recide le ali di Eros, Il Tempo taglia le ali all’Amore. L’uomo del Seicento vuole controllare e dominare il tempo; mentre constata da un lato la caducità e fragilità della propria esistenza terrena, dall’altro sembra non rassegnarsi all’idea che la verità sia ‘figlia del tempo’, secondo il classico adagio attribuito allo scrittore latino Aulo Gellio vissuto nel II secolo d.C. e ripreso dal filosofo Bacone agli albori della modernità. Eppure spesso Il Tempo rivela la Verità, la dis-vela, le toglie gradatamente il velo, facendola apparire in tutta la sua nudità e bellezza, come accade alla donna tratteggiata con inchiostro marrone su carta da Gian Lorenzo Bernini.
La misurazione del tempo è un tema cruciale del Seicento che da una parte evidenzia la pretesa dell’uomo di essere padrone del proprio tempo, dall’altra non può eludere l’irriducibile vacuità e vanità di tutte le cose. La consapevolezza della vanitas di ogni realtà terrena è particolarmente cara a San Filippo Neri e radicata nella sua predicazione. Di qui è possibile ammirare lungo il percorso della mostra un raffinato orologio con la Madonna Vallicelliana appartenuto proprio al ‘Pippo buono’.
Alcuni artisti si cimentano così nell’impresa di provare a rendere eterno l’effimero, muovendo da una profonda coscienza che, pur nella sua labilità, ogni realtà è positiva e buona perché creata dal Padre di ogni bene. In questa prospettiva sono da leggersi le nature morte e le suppellettili raffinate create dalla mano dell’uomo, i cristalli e l’argenteria che popolano le tele La mosca e L’orologio di Berentz.
All’uomo che non si rassegna allo scorrere inesorabile del tempo viene incontro l’Amor sacro e l’Amor profano di Guido Reni, nel quale il primo Eros è raffigurato mentre brucia faretra e frecce dell’amore volgare, segno che non bisogna lasciar spazio ad amori fugaci e ciechi che non danno sapidità e gusto alla vita, perché inseguono il piacere escludendo l’orizzonte del dono, vera essenza di ogni amore e sola forza in grado di renderlo vero e dunque eterno.
Il barocco assume lo stile dell’azione teatrale per una resa efficace di movimenti e gesti volta a suscitare stupore e meraviglia. Di qui ne Il sacrificio di Isacco il Domenichino prova a fissare sulla tela con straordinaria maestria pittorica l’istante – ciò che per definizione ‘non sta’ nella sua sfuggevolezza – in cui l’angelo interviene a fermare il braccio di Abramo prima che stenda la spada sul capo del proprio figlio.
A combattere e vincere il Tempo sono anche le allegorie indomite della Bellezza e della Speranza nella tela del pittore francese Simon Vouet, che campeggia nella locandina dell’esposizione quale cifra simbolica e sintetica del senso stesso della mostra: tentare di afferrare, con e dentro la via maestra della bellezza artistica, la vera natura del tempo che, per dirla con Platone, è pur sempre «immagine mobile dell’Eterno».
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana