Sette Stati americani, compreso l’American College of Pediatricians, fanno causa all’amministrazione Biden per aver imposto a medici e personale sanitario le terapie affermative per la transizione di genere. Missouri, Utah, North Dakota, South Dakota, Iowa, Idaho e Arkansas citano in giudizio il presidente Biden relativamente a una norma promulgata ad aprile dal Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani che ha ridefinito il concetto di «discriminazione sessuale» nei programmi sanitari, includendo in esso anche identità di genere e orientamento sessuale.

Secondo i fautori della causa una simile norma, oltre ad aver suscitato numerose reazioni negative nell’opinione pubblica, violerebbe l’Affordable Care Act – meglio noto come ‘Obamacare’ -, obbligando i medici a somministrare bloccanti della pubertà e terapie ormonali a quanti presumano di essere nati nel corpo sbagliato, compresi i minori, e ad agire di fatto contro un retto giudizio clinico nei confronti dei pazienti con disforia di genere.

Insomma, col solito pretesto della lotta alla discriminazione e ai pregiudizi, il Dipartimento della Salute americano ha così imposto a medici e personale sanitario non di valutare e operare in scienza e coscienza, ma di attuare protocolli clinici conformi all’ideologia di genere mediante un vero e proprio «tentativo di dirottare la medicina», come denunciato da Julie Marie Blake, avvocato di Alliance Defending Freedom.

Laddove «i medici di tutto il mondo e le persone che si sono sottoposte a queste procedure sperimentali che alterano il corpo stanno mettendo in guardia sui rischi, l’amministrazione Biden sta lavorando per costringere i dottori a eseguire tali procedure dannose, spesso sterilizzanti, per far apparire le persone come del sesso opposto», ha tuonato ancora la Blake.

Di qui la richiesta esplicita dei querelanti alla Corte distrettuale degli Stati Uniti per il distretto orientale del Missouri di vietare la norma «in via preliminare e permanente», anche alla luce delle contromisure in materia già attuate o in fieri da parte di diversi Paesi europei – tra i quali Regno Unito, Scozia, Danimarca, Svezia – proprio sulla base degli studi più recenti che hanno evidenziato le devastanti ricadute di questi trattamenti sul benessere psicofisico dei pazienti in transizione di genere, in specie se minori.

Fortunatamente Missouri, Utah, North Dakota, South Dakota, Iowa, Idaho e Arkansas non sono gli unici Stati a far sentire la propria voce contraria all’attuazione di tali protocolli per la terapia affermativa di genere. Infatti almeno 25 stati – tra cui Florida, Ohio e Montana hanno già approvato delle restrizioni e tre Corti federali in Tennessee, Florida e Texas hanno ostacolato l’attuazione di questa norma sin dalla sua introduzione a fine aprile scorso. Al Congresso i repubblicani l’hanno poi criticata espressamente, denunciando come essa non lasci sufficiente spazio all’obiezione di coscienza da parte di medici e operatori sanitari che si oppongono a tale medicina affermativa di genere, anche solo per motivi di libertà religiosa.

È infine in corso anche un’azione politica di contrasto da parte di alcuni senatori – Roger Marshall (R-KS) e Marsha Blackburn (R-TN), insieme ai Rappresentanti Chip Roy (R-TX) e Doug LaMalfa (R-CA) – che stanno lavorando per presentare una risoluzione congiunta al Congressional Review Act affinché tale norma sia quantomeno rivista e modificata se non abrogata.

Relativamente alla somministrazione acritica, e pertanto meramente ideologica, di farmaci bloccanti della pubertà e terapie ormonali, quanto accade anche oltreoceano costituisce un ulteriore caso significativo da considerare, visto quanto si è verificato e si sta verificando in Italia in particolare all’Ospedale Careggi.

Fonte: ProVita e Famiglia

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