L’anima umana è «naturalmente cristiana» nella misura in cui possiede in sé una conoscenza naturale di Dio conciliabile con la Rivelazione. È quanto sostiene Tertulliano nel De testimonio animae, la cui edizione critica è stata recentemente pubblicata in La testimonianza dell’anima – La preghiera nella collana “I Talenti” delle Edizioni Studio Domenico e delle Edizioni San Clemente con un’approfondita introduzione, testo latino a fronte e note a cura di Attilio Carpin.
Nel breve opuscolo rivolto ai pagani La testimonianza dell’anima Tertulliano propone un percorso apologetico inedito, nel tentativo di coniugare la filosofia antica con i contenuti della Rivelazione e di integrare le verità di ragione con quelle accolte nella fede. Sino ad allora infatti i padri apologisti greci e latini avevano cercato di dimostrare l’esistenza di Dio principalmente a partire dall’origine della natura e dall’ordine riscontrabile nell’universo mediante una prova cosmologica; ora Tertulliano valuta in special modo la possibilità di una “via antropologica” che muova dalla consapevolezza dell’origine divina dell’anima umana la quale, in quanto tale, possiede una conoscenza innata del suo Creatore (l’idea di Dio precede il contesto culturale; è insita in ciascun uomo di ogni popolo, come sosteneva Cicerone), della sua esistenza e dei suoi attributi.
In sostanza, secondo l’apologeta nato a Cartagine verso il 160, l’anima testimonia il suo Creatore per la sua stessa essenza, in quanto è in grado di riconoscerne anche attraverso il ricorso al solo lume della ragione innanzitutto l’esistenza, e in seguito onnipotenza, bontà e giustizia. Infatti il pagano ne riconosce implicitamente l’esistenza non soltanto quando afferma «Se Dio vorrà» o «Ti benedica Dio», ma persino quando lo maledice poiché «ammette che ha ogni potere su di noi», ossia ne constata l’onnipotenza. Nel temere il giudizio divino, inoltre, anche il pagano manifesta la paura della morte e si appella a un destino di premio o punizione eterna, per cui l’anima non può non riconoscere a se stessa la sua origine dal Creatore. Insomma, a prescindere dall’adesione alla fede cristiana, «l’anima ha un rapporto ontologico e morale con Dio», come osserva acutamente Carpin nel commentare quanto scrive Tertulliano.
Indirizzato presumibilmente ai fedeli della comunità di Cartagine e databile tra il 198 e il 206, il De Oratione è invece uno scritto catechetico sulla preghiera cristiana e in modo particolare sull’orazione per antonomasia, il Padre nostro, in cui traspare il nuovo rapporto dell’uomo con Dio in forza della novità della grazia di Cristo per la quale è possibile rivolgersi all’Onnipotente con la stessa familiarità con cui si dialoga con il proprio padre.
Approfondendo le richieste del Padre Nostro nella versione dell’evangelista Matteo, Tertulliano rileva come dall’affermazione della paternità di Dio derivi conseguentemente il riconoscimento della figliolanza divina. Egli evidenzia innanzitutto in modo particolare come il nome di Dio sia di per sé santo; pertanto la prima petizione allude piuttosto all’esigenza da parte dell’uomo di «benedire Dio con una costante memoria dei suoi benefici», ricercando la Sua gloria. Si tratta dunque di mettersi alla scuola del Figlio per apprendere l’obbedienza alla volontà del Padre, chiedendo a Lui i mezzi e la grazia di attuarla, «così da volere per noi solo ciò che il Padre vuole per noi». Domandando al Padre il pane quotidiano, gli «chiediamo di vivere sempre in Cristo e di non essere separati dal suo corpo».
Riguardo alla preghiera in senso più generico, è certamente possibile «formulare altre richieste, ricordando però i suoi precetti, poiché nella misura in cui ci allontaniamo da essi siamo altrettanto lontani dagli orecchi di Dio». La preghiera «vince Dio», ottiene sempre dal Padre quanto chiede per affrontare con fede e pazienza, unitamente a Cristo, ogni circostanza della vita, compreso il tempo della prova. Perciò «è baluardo della fede, nostra arma di difesa e di attacco contro il nemico che ci spia da ogni parte». Lo stesso padre apologista osserva ancora che non solo gli uomini pregano, ma anche gli angeli e gli animali, tra cui gli uccelli, quando distendono le loro ali formando una croce col loro corpo. La preghiera deve poi essere breve e conformarsi al paradigma dell’orazione di Cristo in modo da costituire un vero sacrificio spirituale gradito al Padre caratterizzato da umiltà, modestia e compostezza anche nella gestualità.
In effetti è dalla relazione col Padre che dipende la felicità della vita, dal momento che «nulla può turbare la serenità di chi abita nel cuore del Padre», come sottolinea Carpin il quale, nel commentare analiticamente il testo di Tertulliano, ricorda infine come il Padre Nostro «racchiuda il senso della vita umana. Questa preghiera ci fa comprendere chi siamo, quale è la nostra dignità, come e per che cosa dobbiamo vivere, qual è il nostro bene e il nostro destino».
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana